martedì 18 novembre 2014

INTERVISTA CON AMOS OZ


Lo hanno sempre chiamato traditore. Da bambino per aver fatto amicizia con un poliziotto inglese, nel '67 per aver proposto da subito uno Stato per i palestinesi e ancora oggi, quando difende questa posizione, nonostante Hamas, gli attentati a Gerusalemme come l'ultimo, di poche ore fa, e le
minacce dell'Isis. Ma per Amos Oz, uno dei più grandi scrittori israeliani, da sempre in testa alle classifiche dei toto-Nobel, essere chiamato traditore non è un'offesa se il tradimento è il coraggio di cambiare posizione o la fedeltà a un'idea.


"Solo chi esce fuori delle convenzioni della comunità a cui appartiene è capace di cambiare se stesso e il mondo", ha detto di recente. Ed è questala tesi che scorre sotto il suo nuovo romanzo, Giuda (Feltrinelli).
Protagonista Schmuel, uno studente che ha realizzato una tesi su Giuda visto da una prospettiva ebraica. Nell'inverno del '59, rimasto senza soldi e senza fidanzata, si ritrova ad accettare vitto e alloggio da un vecchio studioso che ha partecipato all'epopea fondativa dello Stato nel 1948, amico
di Ben Gurion, rimasto solo dopo aver perso il figlio nella guerra arabo-israeliana. In cambio dovrà fare da spalla alla gagliarda verve dialettica dell'uomo. 

In casa una donna, Atalia, matura e molto bella e misteriosa. Si occupa dell'anziano, si rivelerà essere la figlia di un'altra figura storica, un dissidente, indicato anch'esso come traditore perché da
sempre contrario alla fondazione di uno Stato. Ne nasce un singolare triangolo di discussioni sulla religione, la politica, la figura di Giuda e su Israele e il conflitto con i Palestinesi. Un romanzo di passioni, in cui la politica e la Storia si intrecciano a sentimenti umani come la lealtà e
il tradimento. Incontriamo Amos Oz a Milano, è uno degli ospiti di Bookcity.


Quello del tradimento è un tema particolarmente sentito, per lei.


"Me lo porto dietro da sempre. Avevo 8 anni, mi trovavo nella Gerusalemme ebraica sotto amministrazione britannica, divenni amico di un sergente britannico. Io gli insegnavo qualche parola di ebraico, lui mi insegnava qualche parola di inglese. Gli altri ragazzini cominciarono a dirmi che ero un traditore, perché parlavo con 'l'oppressore'. Da allora sono stato chiamato molte volte traditore dai miei concittadini ma non mi sono mai offeso. Credo d'essere in buona compagnia, ci sono uomini che vengono considerati traditori solo per il fatto che non avevano paura, non erano codardi, avevano il coraggio di cambiare".



È quello che succede al padre di Atalia, che avvertiva Ben Gurion di non dar vita a uno Stato ebraico perché nazioni e confini si portano dietro sempre conflitti. Anche lei pensa che lo Stato ebraico sia stato un tradimento del sogno della terra promessa?


"Il mio è un romanzo, non è un manifesto. Ci sono tre o quattro voci, ognuna con idee molto forti, ma diverse tra loro. Quella espressa da Abrabanel, il padre di Atalia, non è maggiore delle altre, ma solo lui fa questa proposta.
Se io avessi voluto dire la stessa cosa, avrei fatto un saggio o uno delle centinaia di articoli che ho scritto sull'argomento. Atalia dichiara che suo padre non apparteneva al suo tempo, era nato o troppo presto o troppo tardi. L'idea di Abrabanel, di un mondo senza Stati né confini né eserciti era
molto bella, ma se fosse passata quella, Israele non sarebbe mai esistito e, solo per fare un esempio, non solo tutti quelli in fuga dall'Europa per paura della Shoah, ma anche le centinaia di migliaia di ebrei che vennero dall'Iraq sarebbero rimasti lì e oggi sarebbero stati massacrati dall'ISIS
così come sta succedendo ai curdi e ai cristiani". 


Uno Stato era necessario all'epoca, uno Stato dovrebbe essere necessario oggi per i Palestinesi. Sia i palestinesi sia gli israeliani oggi non hanno un'altra terra, un posto dove andare. Perché tuttavia non si riesce a convincere la maggioranza degli israeliani? È davvero solo la paura?


"Qui stiamo uscendo dal romanzo per parlare di attualità (il romanzo è ambientato nel 1959, ndr), continuo a pensare che uno Stato indipendente palestinese sia l'unica soluzione al conflitto ma viene ostacolata dai moltissimi militanti fanatici, da una parte e dall'altra".

Tornando al romanzo. Shmuel  è un giovane studioso del cristianesimo e di Giuda, che lui ritiene non un traditore, ma appunto il primo cristiano e addirittura il migliore. Perché?


"Il tradimento di Giuda è stato l'evento scatenante dell'antisemitismo da parte cattolica. Giuda è sempre stato sinonimo di tradimento, in tutte le  lingue. Ma ci sono molte incongruenze anche nel racconto: Giuda era ricco, che se ne faceva di 30 denari? Poca roba, al tempo. E il bacio non serviva,
Gesù predicava a Gerusalemme, tutti lo conoscevano, per arrestarlo non c'era
bisogno del bacio. La storia non sta in piedi. Invece Giuda crede che Gesù sia Dio e proprio per questo provoca la sua crocifissione, questo sì, ma come un compimento della sua missione divina, perché Giuda credeva in questo più di qualsiasi altra persona".

Le diverse voci e posizioni di cui parlava rappresentano una metafora del dialogo necessario all'interno della comunità ebraica di Israele e non solo?


"Non amo che i romanzi siano considerati metafore complessive, univoche. I romanzi raccontano la vita, le cose grandi e le cose semplici, la viltà e il tradimento, tutto il resto, le questioni generali, sono sullo sfondo".

Parlando di sentimenti, nel romanzo c'è pure una storia d'amore: se esiste una forma positiva di tradimento delle idee, si può estendere  questa possibilità anche all'amore? Anche in amore c'è un tradire positivo?


"Talvolta sì, ma non si può generalizzare. Tutti noi siamo dei traditori qualche volta, ma agli occhi di alcuni e non agli occhi di altri. In questo romanzo l'amore che viene tradito, ma in senso 'positivo', è quello del protagonista Schmuel verso i genitori. Per un intero inverno il ragazzo
tradisce madre e padre e lo fa per crescere. Si tradisce sempre la propria infanzia per crescere. E poi penso che una persona non possa amare il proprio Paese se non ne visita un altro, non possa amare la propria lingua se non ne impara un'altra e non riesca a capire l'amore vero se non quando
ama la seconda volta".

Un personaggio del libro parlando di Israele dice: due popoli che amano la
stessa terra sono come due uomini che amano la stessa donna, ci sarà sempre
odio tra i due.


"Succede dappertutto, non solo in Israele. Con una differenza: due uomini
che amano la stessa donna non possono arrivare a un compromesso, invece due
popoli che amano la stessa terra sono come due uomini che hanno una stessa
casa: possono dividerla in due piccoli appartamenti e arrivano a un
compromesso".

Con quello che sta succedendo, la rimonta dell'odio, il proselitismo
dell'ISIS, lei continua a essere ottimista per il futuro?

"È difficile fare il profeta, specie per chi come me viene dalla 

terra dei profeti. Tuttavia, conoscendo il Medio Oriente da 75 anni, posso dire che da
noi quando uno dice 'mai' o 'per l'eternità' di solito intende un periodo
che va da sei mesi a trent'anni".



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