** “Oggi” è la prima parola del nuovo libro di Nicola Gardini, Stamattina, e già dice molto di questo
tentativo di creare una fotografia del presente in versi. Non esplicitamente
storico, ma dentro il postmoderno di irrealtà e simulacri, Gardini sceglie un
obiettivo classico e inattuale: scrivere l’immanenza e la presa in diretta
delle cose da parte di un individuo. Tempo, oggetti, paesaggi in un dichiarato
rapporto positivo con l’esistente, anche se come autore consapevole tiene conto
dell’ombra e dell’orma, del vuoto dietro le cose. Stamattina è dire l’individuale, registro e diario, ma con un senso
di slittamento e di precarietà legato anche alla prospettiva di un’esistenza
che dentro questa volontà di aderire al mondo ne vede anche la sua naturale
evanescenza (“ho capito all’improvviso / che non rimane già più niente”).
Richiami classici, oppure di un ’900 dell’oggetto (per esempio il “Partito
preso delle cose” di Ponge, e forse anche in Gardini c’è un po’ della sua
allegria materialista).
In effetti in Stamattina gli elementi con cui viene a contatto l’io-scrivente (un parco, le nuvole, le viole di un giardino e altri elementi anche minimi) compongono il puzzle temporale di una percezione del mondo. Sono atomi e grani di un rosario per invocare il presente e tenere le cose attraverso la poesia dentro il suo rischio di vuoto infinito (“il vuoto si è riempito di sfere”). Inseguire passo-passo le cose del giorno (significativa la poesia “Dunque”, quasi un elenco di appunti per un’agenda) disposte alla percezione a definire un’armonia di quelle sfere, attraverso una lingua lavorata e resa semplice con studiata ripresa di canoni (con prevalenza di endecasillabi, in strofe e a volte sonetti manipolati, tagliati) italiani e anglosassoni (Gardini, docente a Oxford, è traduttore di molti autori, tra cui Dickinson e Ashbery, un nome dai critici spesso a lui accostato). Nei versi centrale è il dire, esteso fino al non dicibile, inteso non come mistero, ma come l’estrema presenza della cosa, di un attimo vero, di un momento di un senso dell’esistenza, inafferrabile ma evidente, restituito spogliando i versi il più possibile di ogni orpello iper-letterario, anche se consapevole del limite (non a caso il libro di saggi uscito in contemporanea da Einaudi, Lacuna, è un “saggio sul non detto”). Dire e non-detto definiscono un perimetro fisico del mondo, non un linea verso una metafisica. L’aggiustamento del tiro, anche attraverso riflessioni che emergono qua e là (“tutti presenti / e invece sembra sempre / che qualcuno manchi” nel linguaggio che è “castello di Atlante”), serve a dire che “la cosa c’è sicuramente”, ma noi sulle cose “non diremo mai la verità” per via di una continua manque, di uno slittamento che la nostra condizione non può ignorare. Gardini non cede a questa teologia negativa novecentesca, resta qui a percepire “all’improvviso un pensiero / mai fatto / far rima tra i passi e la libertà”. Definire una disposizione del sé attraverso una sua fenomenologia: l’io-poetico attiva, tiene assieme stringendola in forma e sintassi nette, una sorta di rammemorazione del presente, attraverso la rappresentazione in segni: diventa “cosa” la cosa che percepiamo rappresentata, la parola, mai l’oggetto. Ma non si percorre qui il sentiero della lacerazione e dell’inesperienza. Seppur fluttuanti, come in certe stampe giapponesi o in Giudici (“io sento nostalgia / delle cose che vedo”), le cose sono perché sono state e la realtà esiste nella temporalità. Stamattina è un libro di componimenti come micronarrazioni, anche se Gardini torce i tempi verbali: siamo in un presente che “mentre sei, sei stato” ma per tentare un “discorso” che “del passato facesse un futuro”. E struttura tutto in una ciclicità, come l’impianto stagionale del libro, che termina in giorni invernali in cui “su tutto è sceso il freddo”. Però siamo qui, ad attraversare il gelo e scrivere “con le suole / che sto passando” correndo “incontro ai giorni che finirono”.
In effetti in Stamattina gli elementi con cui viene a contatto l’io-scrivente (un parco, le nuvole, le viole di un giardino e altri elementi anche minimi) compongono il puzzle temporale di una percezione del mondo. Sono atomi e grani di un rosario per invocare il presente e tenere le cose attraverso la poesia dentro il suo rischio di vuoto infinito (“il vuoto si è riempito di sfere”). Inseguire passo-passo le cose del giorno (significativa la poesia “Dunque”, quasi un elenco di appunti per un’agenda) disposte alla percezione a definire un’armonia di quelle sfere, attraverso una lingua lavorata e resa semplice con studiata ripresa di canoni (con prevalenza di endecasillabi, in strofe e a volte sonetti manipolati, tagliati) italiani e anglosassoni (Gardini, docente a Oxford, è traduttore di molti autori, tra cui Dickinson e Ashbery, un nome dai critici spesso a lui accostato). Nei versi centrale è il dire, esteso fino al non dicibile, inteso non come mistero, ma come l’estrema presenza della cosa, di un attimo vero, di un momento di un senso dell’esistenza, inafferrabile ma evidente, restituito spogliando i versi il più possibile di ogni orpello iper-letterario, anche se consapevole del limite (non a caso il libro di saggi uscito in contemporanea da Einaudi, Lacuna, è un “saggio sul non detto”). Dire e non-detto definiscono un perimetro fisico del mondo, non un linea verso una metafisica. L’aggiustamento del tiro, anche attraverso riflessioni che emergono qua e là (“tutti presenti / e invece sembra sempre / che qualcuno manchi” nel linguaggio che è “castello di Atlante”), serve a dire che “la cosa c’è sicuramente”, ma noi sulle cose “non diremo mai la verità” per via di una continua manque, di uno slittamento che la nostra condizione non può ignorare. Gardini non cede a questa teologia negativa novecentesca, resta qui a percepire “all’improvviso un pensiero / mai fatto / far rima tra i passi e la libertà”. Definire una disposizione del sé attraverso una sua fenomenologia: l’io-poetico attiva, tiene assieme stringendola in forma e sintassi nette, una sorta di rammemorazione del presente, attraverso la rappresentazione in segni: diventa “cosa” la cosa che percepiamo rappresentata, la parola, mai l’oggetto. Ma non si percorre qui il sentiero della lacerazione e dell’inesperienza. Seppur fluttuanti, come in certe stampe giapponesi o in Giudici (“io sento nostalgia / delle cose che vedo”), le cose sono perché sono state e la realtà esiste nella temporalità. Stamattina è un libro di componimenti come micronarrazioni, anche se Gardini torce i tempi verbali: siamo in un presente che “mentre sei, sei stato” ma per tentare un “discorso” che “del passato facesse un futuro”. E struttura tutto in una ciclicità, come l’impianto stagionale del libro, che termina in giorni invernali in cui “su tutto è sceso il freddo”. Però siamo qui, ad attraversare il gelo e scrivere “con le suole / che sto passando” correndo “incontro ai giorni che finirono”.
Mario De Santis
Nicola Gardini, Stamattina,
Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero 2014, pp. 102, euro 10,00.
** già pubblicata in "Poesia" (Crocetti) dicembre 2014
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