Per questo senza vivere,
tutto parla
come i fogli di montaggio dei
mobili
con dei vaghi disegni
perentori: perché inutili i nomi
secchi, che esistono solo
nell’ arredo, fanno le capsule comuni
del riconoscersi, ma senza
mai vedere come è uno nell’altra.
Come è improbabile, mia
amica, il congedo
in questo svegliarsi in un
giorno e averlo già vissuto:
si moltiplica il formicolio
delle mani appena invadiamo
i viali al mattino, come le
braccia sollevate in un bus
tutti quelli che hanno in
silenzio lo stesso
divano, il lavello,
l’armadio, non lo chiamano più
per quel nome, c’è il panico
delle cose comuni.
Era il fulmine a dare
l’enigma, ora è il calore che combacia
la mano che si aggrappa
vicina alla mia mano
la vita che sta tra il capo
chino e il vapore che siamo.
Come fare un lavoro, come
scrivere addio:
nessun atto è più urgente se
tutto è solo immediato
e si ripetono solo le attese
disperate: chi è muto
chi ha perso le chiavi o un
paese e sta fermo come una farfalla
sull’epidemia di carezze
illuminate.
Chi ha affogato dolore sbarcando
nel suo vuoto.
Loro in ombre come noi, sono lo sbuffo cupo
dalle grate vicine al
marciapiede, dalle crepe, nei volti,
un sottofondo.
Noi non lasciamo più orme,
qui c’è il catrame appena messo,
ma da dove parlano quelle è un tumulto, una tosse di veleni:
vanno a grappoli dal Sahara al carbonio,
a condividere assenti e presenti,
a condividere assenti e presenti,
una mattina di malesseri, il disgusto, il sale nei cappotti
dove c'è vomito, e dire no, e non e non voltarsi, e
nessuno
essere soli, toccare davvero. Abbiamo un giorno da riempire,
come le ragazze dell’amore,
minacce e desideri.
Lo dimentichiamo, amica mia,
Lo dimentichiamo, amica mia,
non vedi che è solo
fluorescenza come me, come te, non ci vedi
scomposti e ricomposti in una replica a sera, nei ritorni dal lavoro?
Siedi ora sul divano e guardi
l’alone dei led
Senti questo giorno sognato
come l’ultimo, come incerto
materiale di una veglia, corollario, testamento, e
credi finirà?
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