lunedì 14 novembre 2016

Perché Giuliana De Sio che interpreta Ruccello mi è piaciuta molto e Pippo Delbono che mette in scena sé stesso non mi è piaciuto per niente.

“Notturno di donna con ospiti” è un noir del grandissimo e troppo presto scomparso Annibale Ruccello, storia di una  donna semplice, casalinga, madre travolta dai suoi fantasmi. E’ un testo costruito nascondendo il nero dentro la tavolozza di colori vivaci e un po’ acidi della  commedia  mediterranea (forse prima e meglio di Almodovar)  in cui è la maternità col suo deflagrare erotico e dispotico tocca nel testo di Ruccello tutte le tonalità. Ma è soprattutto Giuliana  De Sio a restituirlo come verità attraverso una finzione suprema, la sua capacità attoriale, che va a sfidare e a riprodurre con estrema autenticità quello strato di finzione e ipocrisia, sentimentalismo e sceneggiata, artificio che costituiscono spesso la “verità” della  vita di certi strati popolari (napoletani sopra tutti, e in modo unico).
Insomma Ruccello e DE Sio scavano dentro le pieghe del barocco biologico napoletano, nelle uallere dell’anima materna, sia quella della Mutter fallica e repressiva che ha alle spalle sia quella nera e bambina che  è Adriana. De Sio fa teatro attraverso un testo e la sua arte scenica, dunque elementi di finzione, ma arriva ad un nucleo di autenticità
Delbono cerca di superare tutte le finzioni, punto a all’autentico vero, e mette in scena una liturgia di cartapesta. Casualmente è uno spettacolo che nasce a partire da un impulso legato alla madre dell’autore.Il 

"Il vangelo" -  che aspira all' apocrifo ma autentico - di Pippo Delbono  non prevede incertezze e cedimenti. E’ verità: ai margini c’è il bene, i marginali sono santi, anzi nuove divinità e  a loro il culto.  E’ un’orazione sacra e una celebrazione della marginalità come paradiso in terra di un Cristo che si fa uomo, donna, transex, omosessuale, migrante, malato psichico. non è un caso che si apre con 11 sedie, manca Giuda - nessuno tradisce, nessuno mette in discussione il Cristo-Del Bono. Lo spettacolo è un inno, una messa celebrata dalla parte degli ultimi. Per una singolare coincidenza, che diventa emblema di un’epoca e di una cultura non a caso sotto il segno di Pasolini, il cattolicesimo della madre e il desiderio di vicinanza agli ultimi ma in modo laico, fanno si che il figlio (al quale la madre che  fino in punto di morte ha tentato di redimerlo ) chiedeva “ma perché non fai uno spettacolo sul Vangelo?”
Ora che la madre è morta, questo spettacolo a lei dedicato dal figlio che non crede nel figlio di Dio, diventa in  realtà la cosa più vicina al suo desiderio – dellA l madre e potremmo  ANCHE GIOCARE CON Lacan e dire : che il figlio vuole essere (oggetto del) desiderio  della madre. Cmnq stare vicino agli ultimi o è patrimonio comune ai cattolici come ai marxisti compresi gli “eretici” ed è stato gioco facile per Pippo accontentare la mammina.
 Del Bono figlio lo è, eretico, ma figlio, e  vicino agli ultimi,  sinceramente, pur senza appartenere ai rituali da sepolcri imbiancati della religione tradizionale. Il problema è che anche Del Bono, richiamando con impeto di sincerità tutto un repertorio della rappresentazione gioiosa dell’marginalità finisce per creare un rigurgito di artificiosità, dunque l’effetto contrario. Creando uno spettacolo in cui supera il limite dell’ambivalenza per approdare decisamente nel territorio del “brutto”. Brutto spettacolo, noioso, irritante. Una liturgia che pur partendo da intenzioni estremamente sincere produce un effetto retorico  insopportabile-


Ill regista-demiurgo in platea, attraverso la sua voce  Urla e declama, si agita, danzicchia, un po’ goffamente – ma che vuoi che sia? È il trionfo del corpo-deforme – e sculetta – ma vuoi essere omofobico? – e reclama laicamente felicità al mondo, dìssipa energie d’ amore e quella verità dell’autentico  che sola rende liberi, a volte con le parole attribuite a Cristo nei vangeli ufficiali, altre con quelle di un campione della fede come Sant’Agostino, altre ancora con i versi dedicati agli ultimi e ai reietti dal Pasolini della “Profezia”: “Essi sempre umili/essi sempre deboli/essi sempre timidi/ essi sempre infimi/essi sempre sudditi…”. E scorrono via tutti i frammenti di  questa liturgia durata 50 anni: ecco Prevert, Pasolini, i cantanti dei vicoli napoletani versione Almodovar che cantano Alan Sorrenti, i Led Zeppelin, Pavese, Jesus Christ Superstar.. tutto quello che è stato il repertorio della libertà, dell’autenticità, vero e finisce per diventare una sorta di ritornello trash in cui vengono evocate a favore del pubblico abbonato di sinistra tutte le sue liturgie di rappresentazione della libertà compiaciuta che però finiscono per congelarle in una artificiosità trash. Del Bono nonostante decenni di teatro, festival e cinema, continua a mettere il suo corpo afflitto – dal dolore per la perdita della l madre a quello empatizzato dagli “ultimi” . non si nega il lavoro concreto umano che fa Delbono, con diseredati e «barboni» in attività culturali, alleviando le sofferenze di attori mentalmente disabili attraverso il beneficio terapeutico del teatro . Tutto questo però poi diventano 40 euro di biglietto per illudersi seduti in poltrona di poter assaporare l’autenticità.
L’effetto vorrebbe essere quello della verità di Pasolini, il risultato - come era già in Pasolini a dire il vero - è quello del cartonato artificiale di Fellini e come il grande regista romagnolo sapeva bene tutta quella falsità esibita veniva resa ambivalente se condita con le comparse con le “facce vere” che tuttavia erano il circo dei Freaks - lo stesso vale per Del Bono, che è assolutamente sincero nel voler portare sul palco la “verità della rappresentazione” di Bobo, e degli altri disabili o malati psichici che utilizza, ma alla l fine continua nel tramandare un’idea del “povero storpio” da compatire con pietà.  questo tentativo ormai pluridecennale è diventato inautentico, è diventato lo sfruttamento della biologia come sigillo di verità.


 Anche nel non voler accusare Del bono di furbesco sfruttamento del minorato, e riconosciamogli  intento sincero e gioioso: tuttavia  ma non c’è nulla di più artificiale nel provare a rappresentare la gioia  diretta. Ci è cascato anche Pasolini con Ninetto Davoli - e al limite strappando Totò alla sua maschera di pupazzo comico - ma cadendo in una sorta di pantomima artificiale - non tanto La terra vista dalla luna quanto alla “sequenza del fiore di carta” l’episodio di “Amore e rabbia” in cui il Riccetto vaga per la città con il fiore e la sua innocenza e non si accorge delle brutture del mondo. Ecco anche Del Bono sembra una sorta di Riccetto, elogia canta e si fa corpo vivo di un’innocenza  portando con sé la verità in corpore  vili di Bobo e degli altri (   Gianluca Ballarè, Nelson Lariccia, Pepe Robledo, tra i suooi totem di carne)
Nato come si diceva come un omaggio alla richiesta della madre, in realtà è anche un testo in ci si intuisce che si sia finalmente  “liberato della Madre” la madre fallica che lo reprimeva,  fino a  transitare oltre il suo  corpo:  Bobo, portato per mano, sempre più anziano e bambino assieme sembra ora finalmente ciò che è sempre stato: il figlio di Pippo, madre di un anziano Padre destrutturato e impotente.
Del Bono diventa anche capocomico di questa compagnia di Freaks della libertà, fino alla prova vivente, all’esposizione vera    del “migrante vero” –  con il piccolo artificio “plateale”  di collocarlo a bordo platea, come a dire “non è teatro” è fuori dal palco – che  racconta  sua storia vera di odissea verso l’italia  - ma lo fa “doppiato” e del migrante in scena esibisce solo il suo corpo amuleto, il suo corpo che taumaturgicamente garantisce verità all’operazione “Vangelo” come fosse  un  Lazzaro, il miracolo che si compie: la rappresentazione è IDENTICA alla verità. E’ la stesa cosa - e tuttavia è un reality, ancora una volta, non una realtà, ma la sua più falsata cartolina. Non è Cristo, ma sono le processioni turistiche nelle vie di Gerusalemme, sentite come “vere” – ma la Gerusalemme antica è in realtà una ricostruzione fatta nel 700.


 PS mi sia consentita una nota finale: questa celebrazioneautoassolvente di fronte alla migliore borghesia milanese, intrisa di poiticamente corretto, di cultura della libertà a zampa di elefante, con mega citazioni  anni 70, è fatta ormai da “ vecchi” all’indomani della morte del genitore - esperienza sicuramente comune  a tutti 50-60enni presenti in sala, coi loro capelli lunghi ma grigi. E così diventa tristemente patetico il tentativo di far reagire la platea con le braccia sollevate a ballare la ritmica funky di Jesus Christ Superstar perché quella platea è fatta di ex-giovani degli anni 70, ormai vecchi che sano che tutta questa messa che celebra la “libertà” messa in scena da Del Bono non è altro che un tentativo disperato, e ultimo di auspicare un “liberazione”dal pensiero della morte. Tutta questa vitalità anni 70 diventa un arrancato dondolìo di braccia anchilosate dall’artrosi di un pubblico “super-corretto” e consapevole che va in cerca di questa innologia giovanilista per  illudersi di rimuovere e liberarsi” si ma dalla morte imminente - non è un caso (si pedoni se finisco così) andando in bagno ala fine dell’interminabile, estenuante ora e quaranta minuti dello spettacolo senza interruzioni, anche il bagno dei maschi fosse affollato di teste grigie alle prese con una prostata incontenibile più  quanto lo fu la celebrata  gioia vissuta in gioventù.

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