riprendo due passi dal post precedente
scrive Agamben : ” una pagina dei taccuini di Chiaromonte contiene una straordinaria meditazione su che cosa rimane di una vita. Non che cosa abbiamo o non abbiamo avuto è per lui il problema essenziale – la domanda vera è, piuttosto : “che cosa rimane?”, “che cosa rimane del seguito di giorni e di anni vissuto come si poteva, e cioè secondo una necessità di cui neppure ora riusciamo a decifrare la legge, ma insieme come capitava, e cioè a caso? La risposta è che rimane, se rimane, ‘ quello che si è, quello che si era”
scrive Agamben : ” una pagina dei taccuini di Chiaromonte contiene una straordinaria meditazione su che cosa rimane di una vita. Non che cosa abbiamo o non abbiamo avuto è per lui il problema essenziale – la domanda vera è, piuttosto : “che cosa rimane?”, “che cosa rimane del seguito di giorni e di anni vissuto come si poteva, e cioè secondo una necessità di cui neppure ora riusciamo a decifrare la legge, ma insieme come capitava, e cioè a caso? La risposta è che rimane, se rimane, ‘ quello che si è, quello che si era”
Si è. Si era. Quando?
Non c’è tempo, accade, è accaduto. E’, qui e non solo ora. Per noi alla
fine scrive sempre Chiaromonte citato da Agamben
-
“rimane l’amore, se
lo si è provato, l’entusiasmo per le azioni nobili, per le tracce di nobiltà e
di pregio che si incontrano nelle scorie di una vita” e dunque “rimane quello che era, quello che merita di
continuare e durare, ciò che sta”.
Il tempo è quel che
rimane. Quel che rimane non è un
sintagma che esprime passato, del resto resto si rimane per dopo, e si sta.
(...)
E’ interessante che che Carlo Rovelli che ci ha guidato
presentandoci il lavoro matematico e torico sperimentale di cui si occupa, in qualche modo “fuori dal tempo” nel senso
però di “fuori dalla concezione di temporalità” che abbiamo, e dopo aver
scritto un libro in cui si presentano le ultime ricerche che la fisica
quantistica sta effettuando sul tempo che dimostrano come il tempo non esista,
scriva ad un certo punto ( Rovelli in LODT
……. )
“ C’è un terzo ingrediente che
fonda la nostra identità e probabilmente è quello essenziale, quello per il
quale questa discussione delicata compare in un libro sul tempo: la memoria (..)
.il nostro presente pullula di tracce del nostro passato. Noi siamo le storie
per noi stessi. Racconti. Io on sono questa istantanea massa di carne sdraiata
sul divano che batte la lettera “a”..sono i miei pensieri pieni di tracce della
frase che sto scrivendo, sono mia madre e mio padre, sono i miei viaggi
adolescenziali, sono tutte le tracce degli attimi di me, sono quello che un
istante fa ha battuto sul computer la parola “memoria”. ..Io sono questo lungo
romanzo che è la mia vita. “
E poi aggiunge un concetto
importante per lo scienza di fisica nucleare che decostruisce la nostra nozione
di tempo “
“E’ la memoria che salda i
processi sparpagliati nel tempo di cui siamo costituiti…il tempo è la forma con
cui noi esseri il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione,
interagiamo con il mondo, è la sorgente della nostra identità e del nostro
dolore. ..il tempo è dolore.”
Occorre, sembra dirci Carlo Rovelli, d’ora in poi
convivere con una dissoluzione della temporalità, del suo ordine e forma, proiettandola
se non nel quotidiano pratico, almeno nel senso interiore, come lo hanno sempre pensato storici,
scrittori e filosofi. Il tempo che “non esiste” , ma che è frutto di una
mutazione, di un’ agglomerato di “eventi” che “accadono” in uno spazio di trasformazione della
materia. (“Non esiste il tempo esiste solo lo spazio”,
una delle frasi choc del libro di Rovelli, se vogliamo).
e dunque la quinta parte del saggio
dall'Autoritratto (cit) di Agamben:
“…Essere a casa nel non ritrovarsi. La
sola cosa sicura è che non sappiamo più dove veramente siamo…sentiamo di essere
in un punto, quel dove – ma non sappiamo situarlo più situarlo nello spazio e
nel tempo. Tutti i luoghi che abbiamo abitato, tutti i momenti che abbiamo
vissuto ci assediano, ci chiedono di entrare – da dove? Dove è dovunque e in
nessun luogo. Diventare intimamente stranieri a sé stessi, senza più patria né
matria.” (p. 9)
6.3
Né luogo né tempo. Non c’è il tempo, ma
c’è la durata . Il sottile sentimento
di una “durata” che viene espresso in “Canto
alla durata” il poema di Peter
Handke , non a caso pubblicato nel 1986 e che oggi viene riproposto da
Einaudi, un poemetto che richiama la memoria di alcuni luoghi che determinano
in noi attraverso la memoria un particolare senso della durata, del durare
potremmo dire, con un termine tedesco Dauer,
ovvero quello stato di coscienza in cui l’insieme dei ricordi collocati in un
punto preciso, per quanto minimo, e la successione di fatti, si trasformano in senso del vissuto, in
intuizione del vivere, che va inteso non n una declinazione elegiaca e
malinconica, quanto in una bruciante e contemporanea “ora del vero sentire”
Handke CAD:
…
“Restando fedele
“Restando fedele
a ciò che mi è caro e che è la cosa più
importante
impedendo in tal maniera che si
cancelli con gli anni
sentirò poi forse
del tutto inatteso
il brivido della durata”
. che non vuole più
essere nostalgia, né presente tenuto in vita artificialmente. Stanno, tutti i
luoghi, tutte le persone, tutti i momenti, stanno,
ma non stanno in nessun luogo che possa avere un’origine geometrico, una
classificazione numerica, un prima e un dopo. Stanno, tuttavia, in una cloud, la pagina che le narra,
dimenticando i tempi verbali: come diceva Chiaromonte “sta”, è quasi un non tempo è un affermazione solo spaziale.
6.4
Se oggi non avessimo
Rovelli a portarci verso questa realtà del tempo, con una decisa concretezza
della teoria matematica e delle affermazioni da scienziato dei suoi, si potrebbe dire che un’affermazione come
quella delle righe sopra era solo letteratura d’effetto e di suggestione. Oggi
corrisponde ad una categoria della mutazione anche dentro la storia – che resta
certo misurabile in anni, per tenere in ordine il discorso del tempo - capace di cambiare il nostro modo di vedere,
sentire nel profondo : se con orologi e manuali di storia teniamo il tepo in
sequnza nel suo discoro storiografico è la leteratura a guidarci dentro una
realtà del tempo e del suo disordine, portandoci poi a concepire anche una forma diversa di questa Storia.
Insomma la fisica ridefinisce la teleologia, attraverso la letteratura, punto d’appoggio dell’etica.
Insomma la fisica ridefinisce la teleologia, attraverso la letteratura, punto d’appoggio dell’etica.
7.0
Nei giorni in cui
finivo questi libri, vedevo sia una mostra che uno spettacolo teatrale che
ancora una volta, incredibilmente, fondevano assieme temi e forme del tempo e della memoria e creavano una
tensione esplosiva, laddove il tempo, inteso come un fluire inafferrabile come
lo intendiamo e lo abbiamo sempre inteso,
rappresenta di fatto il sosia
dell’oblio.
La mostra è di Christian Boltanski a Bologna “Anime. Di luogo in luogo.”. Interessante che un artista del tempo e della memoria àncori il suo sguardo retrospettivo esattamente a quel conglomerato di luoghi e nomi, ombre e visioni come era nel testo di Giorgio Agamben ANS.
Nell’opera di Boltanski all’ “impermanenza” (un concetto che trae dall’amata
cultura giapponese) del tempo e delle
sue tracce, si contrappone un’accumulazione di oggetti perduti, vestiti svuotati e gettate come in un deposito,
fotografie-ombre, sfocate. Sono le tracce di una dipartita, in un viaggio, sono
il “qui” del dopo futuro (“Dopo” è
una delle mostre antologizzate, a partire dall’”Après” della morte) in cui il
tempo della vita riguardando indietro
i tempi dell’esistenza, ne legge la
memoria, che però è un recupero sempre completamente impossibile, dunque
un fallimento ma continuamente tentato: e la memoria tuttavia, se da un lato rivela il suo fallimento, mette
in luce un dissolversi ben più radicale: proprio quello del tempo, inteso come
progetto e come deposito – archivio ordinato – nel tempo liquido di Boltanski, anzi più gassoso, il tempo tendo ad
assomigliare a quella molteplicità compresente che abbiamo incontrato anche ne
il tempo-che-non-esiste di Rovelli e della fisica quantistica così
come in quello dei narratori , una sorta dislocazione continua dentro la
memoria-luogo.
7.1
Le ombre, le tracce,
slittano si confondono, confondo i mille piani della memoria, si ripropongono
in tempi diversi ad interrogarci, ricomponendo il non componibile: – come il cumulo di macerie che sembra comporsi
IN UN areo Dc9 e non un cumulo di
attriti che cadono dall’esplosione DI UN
Dc9 – così come nelle strade di Bologna
tornano dei volti che già sono comparsi, in un tempo passato, i volti degli
scomparsi durante i rastrellamenti del 1945 che i parenti lasciavano per sapere
se qualcuno li aveva visti.
Oggi quei volti, tornano ad essere affissi,
nella città, per volere di Boltanski,
con foto giganti, negli spazi preposti alla cartellonistica pubblicitaria, nella loro anonima, incomprensibile – per i bolognesi di oggi – enigmaticità, ma soprattutto con una sovrapposizione e una confusione del tempo
storico dentro il tempo della memoria: oltre ad essere una significativa
citazione, ma cosa tornano a chiedere quegli occhi ora sconosciuti agli altri
occhi che li incroceranno? Di essere nel presente, di essere ricordati? Di
essere vivi nel solo fatto che vengono guardati? Chiedendoci, tutti noi
passanti, chi siete…
Quegli occhi e volti di
Boltanski che ci guardano nelle mostre, noi non sappiamo chi siano, ma sappiamo
che sono unici, e l’unicità di ognuno che vuole tornare indietro dallo smarrimento
e dall’oblio, vuole tornare nel tempo, ma non nel LORO tempo ma nel NOSTRO –
ma così anche il oro tempo è anche insieme, contemporaneamente il nostro. Ecco
allora che il perdurare della traccia, anche quella strappata all’impermanenza
e all’opaco, diventa il compito dell’artista: non quello di trasmettere una
memoria necessariamente dai contorni precisi – ma a dispetto della sfida
all’opaco, quanto è esatta e precisa la ricostruzione documentale di B. - ma soprattutto quella di salvare dall’affogamento, anime
morte, tracce migranti di una memoria in fuga dall’inferno…., l'ombra, la foto,
il vestito, che Boltanski accumula nelle sue installazioni, fissata un'impronta senza nome, immortala una
presenza in forma di immagine, stabilisce una durata.
7.1.1
“Oro” è, nella mostra,
un’installazione fatta a montagna dorata. La doratura, avvicinandosi, si scopre
sia quella delle coperte termiche che tante volte vediamo nelle dirette tv dei
disastri, nei terremoti, per riparare i salvati dal freddo – e ora più spesso
le vediamo avvolgere i migranti tratti in salvo dalle barche che affondano nel
mar mediterraneo. La promessa dell’oro, emblema dell’Occidente, li avvolge, ma è un oro di bologna, è un falso
oro, eppure li salva, restituisce loro la vita. Questa massa di corpi dorati
come santi nelle icone orientale, ci guarda con
occhi senza nome a rispondere “futuro” alla stessa domanda che abbiamo
fatto ai visi dei morti fucilati dai partigiani a Bologna: “chi siete?”
7.1.2
Scrivevo prima di una
mia idea suggestiva, di una particolare “storicità italiana” della revisione di
idea del Tempo Storico: ecco, forse non è un caso che un artista internazionale
come Boltanski abbia lavorato molto, oltre che con il suo trauma personale e
storico legato alla Shoah, anche con la città di Bologna, divenuta simbolo suo malgrado emblema di una storia
assurda e – un po’ come si diceva l’oro
di Bologna – del cuore nero di un teatro storico italiano di misteri, finzioni,
sangue, morte. E che trama di pensieri è
quella che attraverso Boltanski ci riporta a Bologna come Oro Falso e Cuore
Nero di una storia interrotta del nostro paese, come fu cuore nero della vita
interrotta di Graziella Di Palo che proprio ad uno di quei fatti che coinvolsero
la città di Bologna ha legato la sua vita e la sua scomparsa ?
. E come Boltanski fa, mescolando il personale
autobiografico, il singolare biologico anonimo delle vittime, e la storia
collettiva, anche noi possiamo collocarci in questo doppio binario e leggere
sul nostro corpo memoriale sia in quale modo la Storia è andata avanti (se
leggendo LADS ci identifichiamo con Dora
) sia anche in modo opposto la storia è rimasta monca, amputata
(identifichiamoci con Graziella) –
un po’ come altre generazioni trovano il loro simbolo di una
storia di interruzione conflittuale: la mia generazione e certamente quella
immediatamente dopo di me, come quella dello scrittore Giuseppe
[ma1] Genna, trovò
un emblema di tutto ciò in Alfredino
Rampi, sul cui povero corpicino intrappolato finirono tutti morti di stragi
omicidi sparizioni attentati di un più che decennio passato (1969-1981)
precipitati nel pozzo artesiano di una storia collettiva uscita dai radar della coscienza civile. (il nostro presente
politico, precipitato misteriosamente
al grado zero della dignità, lo
testimonia)
8.0
Siamo tornati alla
durata, a ciò che resta, al tempo che compie la sua rivoluzione saturnina, al
suo canto, che ritrova negli anelli paralleli di una narrazione distopica e
stratiforme, il suo diverso ordine, il suo non-ordine. La storia, come
scriveva Chiaromonte, “sta” se la narri, se continui a
narrarla, rimane e sta.
C’è uno spettacolo
teatrale che ho poi visto a Maggio a Milano, dopo queste letture e che forse –
dando concretezza anche ai corpi di un intreccio narrativo della memoria su un
palco e in video – sembra anch’esso allinearsi su un ‘idea di un tempo
personale e storico che canta la sua durata solco dopo solco.
“Timeloss” racconta,
mette in scena una doppia storia in due tempi diversi, ma in fondo nello stesso
tempo senza tempo: sul limitare dell’anno
2000, all’età di 22 anni, , Koohestani nato a Shiraz nel 1978, uno
dei figli della rivoluzione kohmeinista,
vive la fine di una storia d’amore. Da questo dolore e perdita nasce uno
spettacolo “Dance on the glasses” che
debutta nel 2001 e diventa un successo mondiale. A dodici anni di distanza, nel
2013, Koohestani scrive un nuovo
spettacolo e riscrive quella storia e la ripensa al tempo stesso.
Grazie al teatro, anzi,
la rivive, rimettendola in scena,
affidandola a persone vive. E qui un’ulteriore intersio concettuale: l’autore la
sovrappone temporalmente ad una nuova vicenda: quella della storia dei due attori dell’oggi, e che sono sulla scena di Timeloss.
E che storia è? Di due persone che si amavano nel 2001, quando erano attori e
mentre interpretavano proprio Dancing in
the glasses – ma che ora si sono lasciati…Koohestani tenta un intreccio
di
tempi anche spericolato, tra realtà e
finzione: infatti se la storia d’amore dell’autore (scritta in Dancing) era stata “rappresentata” da due attori che
interpretavano il ruolo dell’autore e della sua ex protagonista, ora in scena
per Timeloss ci sono di nuovo e REALMENTE i due attori di quella performance – e
all’epoca nel 2001 erano fidanzati – ma
che ora interpretano loro stessi. Con un congegno meccanismo drammaturgico avvincente:
l’autore Amir Koohestani immagina in Timeloss infatti che egli stesso,
autore id Dancing, chiami proprio quei due attori del 2001 (questi qui,
invecchiati del 2017) a doppiare un DVD con la registrazione dello spettacolo
del 2001 che aveva l’audio disturbato. Così se nel 2001 gli attori
interpretavano mentre erano fidanzati “Amir”
e la “sua ex” , ora in scena, anche loro separati, mentre doppiano loro stessi, pronunciano delle
parole – nelle pause di lavoro di
doppiaggio – da coppia separata (come
era la coppia che da fidanzati avevano interpretato nel 2001). E non solo, spesso non c’è discontinuità :
mentre pronunciano le parole dello spettacolo del 2001 i due attori si
ritrovano a mettere LE LORO parole di
lite e divisione che vanno a sovrapporsi a quelle DEI DUE PERSONAGGI della
storia vissuta e poi scritta da Koohestani - così
come tecnicamente la vertigine realtà/finzione è aumentata dal fatto che dietro
i due attori inscena oggi, scorrono le VERE immagini e l’audio reale – a cui
vanno a sovrapporsi spesso in sinc –
dello spettacolo Dance on glasses,
che fu effettivamente ripreso nel 2001
per un DVD. E’ complicato, ma tutto si tiene e il tempo non sappiamo più che
sequanz abbia, ma è qui, sta sul palco, sta nella storia..
8.1
Ho voluto raccontare
questa operazione di auto-finzione teatrale perché anche questa mostra non solo
la sovrapposizione di strisce temporali di una vicenda – che nella fusione
letteraria stanno tutte assieme – ma anche la sua declinazione formale,
drammaturgica perché se c’è un tentativo di vivere con un senso del tempo
diverso, non più lineare, non più progressivo, non più ordinato, e di rappresentarlo – anzi quasi viverlo non può
fare a meno della sua narrazione – questo non può passare per una ricerca di
complessità formale, che non è solo, in questo caso, formalistica.
9.0
Cercando di osservare
con uno sguardo generale questa serie di
ipotesi – non un conclusione, ma solo uno degli angoli di una costellazione che
continua a galleggiare – possiamo dire
che la fisica ci sta rivelando qualcosa che già, come accaduto in passato, la
letteratura pare intuire, ovvero che il tempo, come le nostre storie – dunque le identità, le
verità, è come una collezione di strutture che fanno saltare ogni metafora –
dello scorrere ecc ma pure le altre metafore della perdita, del venire: tutto è
in una compresenza, compresenza di possibilità, compreso il passato. Anche
perché le cose stesse – ed è questa la scoperta correlata a quella del tempo –
non esistono in sé ma si si danno proprio in quel campo di tensione di eventi della materia che non ha neppure un
centro originario dell’infinitamente piccolo, ma la materia stessa esiste in un
campo di tensione di elementi e solo la loro reciprocità energetica genera la
materia che non è che questo suo non
essere definibile in una “ultimità”.
Scrive Rovelli
“nella grammatica elementare del mondo non ci sono né spazio né tempo: solo processi che trasformano quantità fisiche le une nelle altre, di cui possiamo calcolare probabilità e relazioni.”
Scrive Rovelli
“nella grammatica elementare del mondo non ci sono né spazio né tempo: solo processi che trasformano quantità fisiche le une nelle altre, di cui possiamo calcolare probabilità e relazioni.”
Se ne facessimo – e
dovremmo farlo – un paradigma anche morale e un disegno teleologico, bé alla luce
di ciò forse si smonta l’idea di utopia,
la sua metafora teleologica fondata su una direzione verso il futuro, ma ad esempio verrebbe meno anche la metafora
– e il concetto chiave epocale - di “ fine della storia” – quel concetto
benché filosofico sarebbe messo radicalmente in discussione dalle conclusioni
della scienza. Non è questione di supremazia di una modalità della conoscenza,
ma di aggiornamento delle metafore fondative della nostra cultura, come è
sempre accaduto.
Tant’è che è stata forse la filosofia ad anticipare l’idea di un tempo smontato: con il passato non determinato e il futuro non aperto e a venire. Semmai, dimensioni varie parallele, che creano un campo di trasformazione nella compresenza e quel campo siamo noi, che il tempo è in noi: più ci rivolgiamo a noi stessi per capire, più siamo tempo, siamo quella che Rovelli chiama
“labile struttura del mondo, ciò che ha
la caratteristica di dare origine a ciò che siamo: essere fatti di tempo. A
farci essere, a regalarci il dono prezioso della nostra esistenza, a
permetterci di creare quell’illusione fugace di permanenza che è la radice del
nostro fluire.”
9.1
Il fluire è la nostra
illusione. Metafora fondativa da sempre, fino a che oggi la scienza ci dice: Noi
non scorriamo in un tempo, non ci porta il destino: è la continua trasformazione a farci essere, a
far essere noi e chi è passato, noi e
chi verrà. Cos’ siamo spinti a superare anche questi tempi verbali. LA lentezza
della forma della narrazione, la sua complessità che – come nella trama di “Timeloss” di Kooehstani - pare rendere il tempo in una slow-motion,
come nei quadri-video digitali di Bill
Viola L’annullamento dell’idea di tempo, nel bene e nel male, con le sue maglie imprigionanti (è stato il
destino) o con la fiducia in una redenzione (dell’utopia). LA scienza studia la
materia e il tempo: le sue conseguenze? Tentare di cambiare la visione diciò
che accade riconsiderare la nostra responsabilità di relazione nell’agire.
L’opera (arte letteratura poesia teatro) abbatte questo muro, tra il mondo delle cose e la coscienza interiore e la scena/il dramma/il romanzo rappresentato sono proprio questo non-luogo dell’accadere, che è il tempo come non lo avevamo mai immaginato e che potrebbe avere ripercussioni morali.
L’opera (arte letteratura poesia teatro) abbatte questo muro, tra il mondo delle cose e la coscienza interiore e la scena/il dramma/il romanzo rappresentato sono proprio questo non-luogo dell’accadere, che è il tempo come non lo avevamo mai immaginato e che potrebbe avere ripercussioni morali.
( nella misura in cui però la classe intellettuale riuscirà a mantenere
il suo ruolo di mediazione con l’opinione pubblica – tutto questo scritto si
regge su un concetto: che Carlo Rovelli è autorevole e che la sua ricerca è
fondata e riconosciuta dalla comunità scientifica – ovviamente se in questo mondo dell’isteria
social da protagonismo chiunque può dire ai suoi centomila follower che sono cose astratte e inuitili, ovviamente tutto decade, ma non solo questo futile
scritto, ma proprio tutto tutto.)
L’opera d’arte e di
finzione, immaginativa, quella forma poetica di movimento dei tempi, quella
evoluzione creatrice è proprio l’organizzazione di una “molteplicità condivisa”
che porta ad avvicinare la forma dell’immaginazione, il funzionamento relazione
della cognizione celebrale e le scoperte della materia nel loro non-ordine
non-più temporale….
Rovelli:
“il tempo è la forma con cui noi
esseri, il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione,
interagiamo con il mondo è la sorgente della nostra identità”.
Sono stato sposato per 7 anni. Il mio matrimonio si è deteriorato per un po 'di tempo, quindi era destinato a sciogliersi. Ero la sua moglie leale, fedele, solidale e fiduciosa. Aveva un altro lato selvaggio che è andato fuori controllo. L'ultimo incidente è stato quando ho scoperto che aveva una relazione 2 settimane prima del nostro 14 ° anniversario di matrimonio. Di punto in bianco mio marito ha appena lanciato il discorso sul divorzio su di me. Ero così ferita ed essendo una donna indipendente, pensavo di poter sopportare l'essere single. Era così difficile andare avanti, quindi ho dovuto chiedere aiuto. Il nostro terapista matrimoniale pensava che "qualcosa" non andasse bene in mio marito. Sono andato online e ho scoperto il dottor Adeleke e le sue buone recensioni sul lavoro di incantesimo. L'ho contattato per un lavoro di incantesimo d'amore e ho fatto tutto ciò che il dottor Adeleke mi ha ordinato di fare, 2 giorni dopo la mattina intorno alle 09:34, sono rimasto totalmente scioccato da come mio marito mi ha chiamato dicendomi quanto gli mancavo. Il suo incantesimo ha funzionato su di me così velocemente e mio marito è stato così amorevole, naturale e sto avendo un matrimonio felice dopo aver usato il suo incantesimo d'amore. Se sei in un matrimonio senza amore e infelice che non può essere salvato, credimi ... C'è luce alla fine di questo tunnel. La dottoressa Adeleke può anche lanciare incantesimi di morte, risolvere casi giudiziari, riportare indietro la tua partner omosessuale e riportare indietro la tua partner lesbica. Puoi raggiungerlo sul suo Tel / Whatsapp +27740386124
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