“Maestoso è l'abbandono” di Sara Gamberini (Hacca editore) è un romanzo, ma si colloca in una zona di scrittura di confine, in cui la voce di un personaggio in prima persona deborda tra la narrazione di sé, il diario intimo e innesti poetici, tentativi di inseguire con i significanti una catena di significati intrecciati nelle cose, altrimenti indicibili o imprendibili.
La terminologia che uso non è casuale, perché il cuore della storia ha a che vedere
con la psicoanalisi e fondamentalmente “l’abbandono” (non l’unico ma quello
importante) è lo strappo, il
distacco che compie la protagonista
(Teresa, detta Maria) dal suo analista,
il dottor Lisi, troppo teso, per lei, a trovare un ordine del senso. Maria cerca la sua mappa per il desiderio, al
tempo stesso quello con il dott. Lisi è irrinunciabile momento e legame, perché
– e qui tutti ne siamo investiti – siamo
spesso incapaci di sciogliere, di abbandonare, il bisogno di avere un legame, più che il
legame stesso, ripetibile esperienza di un medesimo incastro.
L’interruzione dell’analisi e l’abbandono dell’analista sono l’apertura e il cuore di riflessione per la protagonista. il centro della sua vita, che in “Maestoso è l’abbandono” verrà poi raccontata per flash, ricordi, ritagli di un diario interiore ch vanno da un “prima” ( le esperienze famigliari, la sua crescita come bambina sensibile in una famiglia certo alternativa, i primi fidanzati, le esperienze in generale con i maschi ecc) e un dopo-Lisi, la sua autonomia di riflessione, il rapporto con un uomo diverso e non “onnipotente” o ritenuto tale, fino alla scelta di maternità.
L’interruzione dell’analisi e l’abbandono dell’analista sono l’apertura e il cuore di riflessione per la protagonista. il centro della sua vita, che in “Maestoso è l’abbandono” verrà poi raccontata per flash, ricordi, ritagli di un diario interiore ch vanno da un “prima” ( le esperienze famigliari, la sua crescita come bambina sensibile in una famiglia certo alternativa, i primi fidanzati, le esperienze in generale con i maschi ecc) e un dopo-Lisi, la sua autonomia di riflessione, il rapporto con un uomo diverso e non “onnipotente” o ritenuto tale, fino alla scelta di maternità.
La chiave di volta è l’amore, nelle sue varie forme, ma con un'unica
costate: l’attaccamento, l’adesione all’altro, la dipendenza dall’affetto
altrui. E poi la decisione: Abbandonare l'amore, quando questo amore diventa un “bisogno
d'amore” e una dipendenza dall’altro per
riconquistarlo in un amore “ altissimo ” ma che “non serve a niente” come
scrive Gamberini/Teresa –. Questo il motivo che se da un lato porta
molti proprio all’analisi, è quello per cui poi l’analisi stessa diventa, un nuovo legame di bisogno, compensando,
sublimando quello da cui ci vogliamo distaccare – fino a un doppio legame (la persona che è lì
per guidarti nello scioglimento, diventa essa stessa un nodo).
Platone descriveva
questo paradosso con una favola poetica (ritrovare la metà che ci è stata tolta
dl castigo degli dei) - lui che diffidava dei poeti, ne aveva bisogno – ma oggi
le neuroscienze effettivamente attribuiscono all’imprinting col genitore, dei primi sei mesi di contatto, un’importanza
ancora maggiore rispetto a quella definita dagli etologi che hanno elaborato
scientificamente il concetto. Noi tentiamo sempre il ritorno ad un incastro con
un tutto-tondo che eravamo.. investendo l'altro occasionale supposta metà, del
sogno di un regresso o una conquista, la mancanza si cola e finalmente noi
siamo.
Maria invece – sarà questa la scelta o meglio il punto a cui
tenderà - intuisce che ha una chance nel
rimanere incompleti e imperfetti, e come scrive bene Viola Di Grado intraprende
un “cammino di de-formazione”, di emancipazione da ogni bisogno dell’altro, identificabile
nel nodo-analista, abbandonandolo. Proprio questo diventerà il motore per un
recupero dell’imperfezione, del non razionalizzabile, la scoperta di una
profondità e di un modo di stare al mondo che si riappropria anche di una forma
molecolare, aleatoria, diffusa di una compartecipazione e una disseminazione
nel mondo.
Come la poesia
(Mariangela Gualtieri compare tra le letture di Maria già subito e tutto il
libro è scritto da chi si comprende ha meditato sulla poesia) Maria/Teresa
compie un “esperimento dell’vuoto”,
lascia che accada, che prenda spazio, il
non razionalizzabile, ciò sta fuori
dalla grammatica e dai sensi compiuti e logici, cercando di vedere anche nelle
pieghe della realtà. La narrazione di conseguenza si fa piena di connessioni,
metafore, accostamenti e forzature del senso, e segue Maria nel suo dislocamento, se metafora
ha come significato “spostamento” e Maria
costruisce una diversa prosodia dei giorni, dell sua mente, si riappropria del
rimuginio, del fantasticare magico che eredita dall’infanzia e il mondo magico
,che apparteneva già alla madre, amata , sghemba e difettosa, ma proprio per
questo molto amata.
Il flusso interiore che cerca di dare forma alla propria
coscienza prende corpo allora, in questo libro, in forma spesso di lettera a
una madre assente che ha lasciato in Teresa un vuoto che diventerà circo e
cerchio del sacro, e l'ha formata in questa acrobazia della mente, col suo
essere madre alternativa, femminista, ma Narcisa, alla ricerca di figure-alfa, negli
uomini come nei leader politici, ma pure capace di individuare nell’invisibile,
o di evocare nelle cose una loro magia concreta. Il dislocamento è la madre che
se ne va, e la scrittura di Maria che la insegue, che la ritrova proprio nella
scrittura, dove apparir il suo diverso pensare.
Fisicamente anche Maria si muove, lascia analisi e casa, si
trasferisce dalla campagna, in città entra in relazione con i suoi vicini
Nomadi irregolari marginali. Lavora in una libreria dove conosce Lorenzo che
lavora con lei, e la loro coppia sarà proprio un diverso sperimentare la non-paura
del fallimento curando la differenza, anzi la “differanza”, questo diversa inferenza linguistica tra i due, perché
sperimentare l'amore vuol dire farlo con
tutti i “discorsi amorosi” in cui l’amore si nasconde senza svelarsi mai alla
parola, o meglio mai compiutamente..
“l'amore per un freudiano è un movimento sospetto” dice un
certo punto scrivendo di come lascerà a Lorenzo il suo essere scostante. Del
resto l’errore è una diversa energia dell’amare, non ci sarà bisogno – e dunque
nemmeno bisogno di portare il significato a casa, come il pane.
Lorenzo e Maria saranno il loro essere-due, cercheranno una
sorta di “tutto alternativo” laterale o distopico : L’amore è una speciale
distopia perché è molto invocato e richiesto in società e invece abita un altro
luogo, parallelo, che è la comunità degli amanti, luogo del non-senso.
Così questa ex bambina sensibile, che pregava Dio di
liberare Moro, ma anche ferita per come cresceva da genitori alternativi e litigiosi, senza un
modello di famiglia al tempo stesso con legami molto forti in insondabili, cerca
fondamentalmente d icompiere un suo destino. Che non è essere diversa, ma per
certi aspetti di ripetere l’errore, ma non come una coazione bensì come una
scelta. Solo in questo glorioso fallimento, che sa di “destino” può risiedere tuttavia una grande libertà, che è quella di accettare l’incompleto, l’infinito finire
di ogni nostro sogno di infinito – o “nel” finito. E in questo, stare. O naufragare dolcemente, come
da poeta, come in fondo Maria-Teresa è (e per certi aspetti anche Sara
Gamberini).
In tutto questo proprio perché il luogo del desiderio e di
tutti i suoi equivoci è linguistico, fondamentale sono per Maria le lettere che
scrive alla madre, interlocutrice e diverso, materno, essere-due, perché non c’è che il poliamore a salvare l’amore da ogni
suo potere immaginifico ma normativo. E' con lei che mette a punto i suoi passi, la trasformazione fino ad arrivare ad
una maternità che come l’amore viene alla vita nel suo cadere.
Il libro è esattamente questo, non è soltanto il racconto di un'esperienza ma
è la sperimentazione stessa
dell'esperienza attraverso il linguaggio, in questo senso formalmente è un romanzo ,
ovvero in prosa, ma profondamente è una
forma di prosodia e poesia. In un certo senso il mondo si ricopre con un “Aura
invisibile” lega le cose in una trama di
dissipazione e di disseminazione, sempre
sull'orlo di diventare Mistica, forse religiosa. Maria vive il suo anno di pensiero magico , riusciendo a
tenere il vuoto che contiene e in cui siamo contenuti. Non è una mancanza, non è un precipizio in cui
cadiamo, ma punto di un intarsio del mondo, e la ferita diventa così una vertigine del pensiero,
come quando siamo di fronte a un quadro di Fontana, una cabala della coscienza scoperta tra le
pieghe del reale. Come le stelle in cielo: vastità, dove tra buio e stelle, scovare un senso, un
disegno una costellazione. Maria lo cerca come un percorso accidentato, di imperfezione, che ci può portare dalla sofferenza di essere
stati figli a generarne altri, accettando che il figlio potrà essere nel futuro
sia perfetto sia un criminale, oppure morire a un anno, di una malattia inaspettata. Alla fine scienza
o magia, Dio o Don Calabria, c’è spazio
per la salvezza, bisogna però abitare l’invisibile, ma – come questo libro –
anche continuamente scrivere questa invisibilità.
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