venerdì 1 giugno 2018

"MAESTOSO E' L'ABBANDONO" di Sara Gamberini (Hacca edizioni)


“Maestoso è l'abbandono” di Sara Gamberini (Hacca editore) è un romanzo, ma si colloca in una zona di scrittura di confine, in cui la voce di un personaggio in prima persona deborda tra la narrazione di sé, il diario intimo e innesti poetici, tentativi di inseguire con i significanti una catena di significati intrecciati nelle cose, altrimenti indicibili o imprendibili.
La terminologia che uso non è casuale, perché il cuore della storia ha a che vedere con la psicoanalisi e fondamentalmente “l’abbandono” (non l’unico ma quello importante)  è lo strappo, il distacco  che compie la protagonista (Teresa, detta Maria)  dal suo analista, il dottor Lisi, troppo teso, per lei, a trovare un ordine del senso.  Maria cerca la sua mappa per il desiderio, al tempo stesso quello con il dott. Lisi è irrinunciabile momento e legame, perché – e qui tutti ne siamo investiti –  siamo spesso incapaci di sciogliere, di abbandonare,  il bisogno di avere un legame, più che il legame stesso, ripetibile esperienza di un medesimo incastro.

L’interruzione dell’analisi e l’abbandono dell’analista sono l’apertura e il cuore di riflessione per la protagonista. il centro della sua vita, che in “Maestoso è l’abbandono” verrà poi raccontata per flash, ricordi, ritagli di un diario interiore ch vanno da un  “prima” ( le esperienze famigliari, la sua crescita come bambina sensibile in una famiglia certo alternativa, i primi fidanzati, le esperienze in generale con i maschi ecc) e un dopo-Lisi, la sua autonomia di riflessione, il rapporto con un uomo diverso e non “onnipotente” o ritenuto tale, fino alla scelta di maternità.
La chiave di volta è l’amore, nelle sue varie forme, ma con un'unica costate: l’attaccamento, l’adesione all’altro, la dipendenza dall’affetto altrui. E poi la decisione: Abbandonare l'amore,  quando questo amore diventa un “bisogno d'amore”  e una dipendenza dall’altro per riconquistarlo in un amore “ altissimo ” ma che “non serve a niente” come scrive Gamberini/Teresa   –. Questo il motivo che se da un lato porta molti proprio all’analisi, è quello per cui poi l’analisi  stessa diventa, un nuovo legame di bisogno, compensando, sublimando quello da cui ci vogliamo distaccare  – fino a un doppio legame (la persona che è lì per guidarti nello scioglimento, diventa essa stessa un nodo).
 Platone descriveva questo paradosso con una favola poetica (ritrovare la metà che ci è stata tolta dl castigo degli dei) - lui che diffidava dei poeti, ne aveva bisogno – ma oggi le neuroscienze effettivamente attribuiscono all’imprinting col genitore,  dei primi sei mesi di contatto, un’importanza ancora maggiore rispetto a quella definita dagli etologi che hanno elaborato scientificamente il concetto. Noi tentiamo sempre il ritorno ad un incastro con un tutto-tondo che eravamo.. investendo l'altro occasionale supposta metà, del sogno di un regresso o una conquista, la mancanza si cola e finalmente noi siamo.
Maria invece – sarà questa la scelta o meglio il punto a cui tenderà -  intuisce che ha una chance nel rimanere incompleti e imperfetti, e come scrive bene Viola Di Grado intraprende un “cammino di de-formazione”, di emancipazione da ogni bisogno dell’altro, identificabile nel nodo-analista, abbandonandolo. Proprio questo diventerà il motore per un recupero dell’imperfezione, del non razionalizzabile, la scoperta di una profondità e di un modo di stare al mondo che si riappropria anche di una forma molecolare, aleatoria, diffusa di una compartecipazione e una disseminazione nel mondo.
 Come la poesia (Mariangela Gualtieri compare tra le letture di Maria già subito e tutto il libro è scritto da chi si comprende ha meditato sulla poesia) Maria/Teresa compie un  “esperimento dell’vuoto”, lascia che accada, che prenda spazio,  il non razionalizzabile,  ciò sta fuori dalla grammatica e dai sensi compiuti e logici, cercando di vedere anche nelle pieghe della realtà. La narrazione di conseguenza si fa piena di connessioni, metafore, accostamenti e forzature del senso, e  segue Maria nel suo dislocamento, se metafora ha come significato “spostamento”  e Maria costruisce una diversa prosodia dei giorni, dell sua mente, si riappropria del rimuginio, del fantasticare magico che eredita dall’infanzia e il mondo magico ,che apparteneva già alla madre, amata , sghemba e difettosa, ma proprio per questo molto amata. 

Il flusso interiore che cerca di dare forma alla propria coscienza prende corpo allora, in questo libro, in forma spesso di lettera a una madre assente che ha lasciato in Teresa un vuoto che diventerà circo e cerchio del sacro, e l'ha formata in questa acrobazia della mente, col suo essere madre alternativa, femminista, ma Narcisa, alla ricerca di figure-alfa, negli uomini come nei leader politici, ma pure capace di individuare nell’invisibile, o di evocare nelle cose una loro magia concreta. Il dislocamento è la madre che se ne va, e la scrittura di Maria che la insegue, che la ritrova proprio nella scrittura, dove apparir il suo diverso pensare.

Fisicamente anche Maria si muove, lascia analisi e casa, si trasferisce dalla campagna, in città entra in relazione con i suoi vicini Nomadi irregolari marginali. Lavora in una libreria dove conosce Lorenzo che lavora con lei, e la loro coppia sarà proprio un diverso sperimentare la non-paura del fallimento curando la differenza, anzi la “differanza”, questo diversa inferenza linguistica tra i due, perché  sperimentare l'amore vuol dire farlo con tutti i “discorsi amorosi” in cui l’amore si nasconde senza svelarsi mai alla parola, o meglio mai compiutamente..

“l'amore per un freudiano è un movimento sospetto” dice un certo punto scrivendo di come lascerà a Lorenzo il suo essere scostante. Del resto l’errore è una diversa energia dell’amare, non ci sarà bisogno – e dunque nemmeno bisogno di portare il significato a casa,  come il pane.
Lorenzo e Maria saranno il loro essere-due, cercheranno una sorta di “tutto alternativo” laterale o distopico : L’amore è una speciale distopia perché è molto invocato e richiesto in società e invece abita un altro luogo, parallelo, che è la comunità degli amanti, luogo del non-senso.
Così questa ex bambina sensibile, che pregava Dio di liberare Moro, ma anche ferita per come cresceva  da genitori alternativi e litigiosi, senza un modello di famiglia al tempo stesso con legami molto forti in insondabili, cerca fondamentalmente d icompiere un suo destino. Che non è essere diversa, ma per certi aspetti di ripetere l’errore, ma non come una coazione bensì come una scelta. Solo in questo glorioso fallimento, che sa di “destino” può risiedere tuttavia una grande libertà, che è quella  di accettare l’incompleto, l’infinito finire di ogni nostro sogno di infinito – o “nel” finito.  E in questo, stare. O naufragare dolcemente, come da poeta, come in fondo Maria-Teresa è (e per certi aspetti anche Sara Gamberini).

In tutto questo proprio perché il luogo del desiderio e di tutti i suoi equivoci è linguistico, fondamentale sono per Maria le lettere che scrive alla  madre, interlocutrice e diverso, materno,  essere-due, perché non c’è che il poliamore a salvare l’amore da ogni suo potere immaginifico  ma normativo. E' con lei che mette a punto i suoi passi, la trasformazione fino ad arrivare ad una maternità che come l’amore viene alla vita nel suo cadere. 

Il libro è esattamente questo,  non è soltanto il racconto di un'esperienza ma è la sperimentazione stessa dell'esperienza attraverso il linguaggio,  in questo senso formalmente è un romanzo , ovvero in prosa,  ma profondamente è una forma di prosodia e poesia. In un certo senso il mondo si ricopre con un “Aura invisibile”  lega le cose in una trama di dissipazione e di disseminazione,  sempre sull'orlo di diventare Mistica, forse religiosa. Maria vive  il suo anno di pensiero magico , riusciendo a tenere il vuoto che contiene e in cui siamo contenuti.  Non è una mancanza, non è un precipizio in cui cadiamo, ma punto di un intarsio del mondo, e la  ferita diventa così una vertigine del pensiero, come quando siamo di fronte a un quadro di Fontana,  una cabala della coscienza scoperta tra le pieghe del reale. Come le stelle in cielo: vastità,  dove tra buio e stelle, scovare un senso, un disegno una costellazione. Maria lo cerca come un percorso accidentato, di imperfezione,  che ci può portare dalla sofferenza di essere stati figli a generarne altri, accettando che il figlio potrà essere nel futuro sia perfetto sia un criminale, oppure morire a un anno,  di una malattia inaspettata. Alla fine scienza o magia,  Dio o Don Calabria, c’è spazio per la salvezza, bisogna però abitare l’invisibile, ma – come questo libro – anche continuamente scrivere questa invisibilità.

Nessun commento:

Posta un commento

SINNO (E LATTANZI O D'ADAMO): CORPI ESTRANEI ANTILETTERARI, QUINDI LETTERARI?

Allora, lunga riflessione : il libro di Neige Sinno, “Triste tigre” ha avuto notevoli riconoscimenti letterari in Francia, è stato tradotto...