Avevo scritto la recensione a metà libro. (1)
Poi andando avanti il libro offre sorprese. Questa è la versione ultima - il resto, lo scarto di recensione in fondo in piccolo.
Caravaggio è un “ready made” nel mercato delle mostre, è un brand. La sua riproduzione tecnica tuttavia era già cominciata con Caravaggio vivente, che autorizzava copie di sé stesso per i mercanti del suo tempo. E stupiva, provocava perché voleva farlo. L’ l'originale non è mai così dedito alla sua originarietà. Del resto come scrive Clifford, i frutti puri impazzisco.
Caravaggio è un “ready made” nel mercato delle mostre, è un brand. La sua riproduzione tecnica tuttavia era già cominciata con Caravaggio vivente, che autorizzava copie di sé stesso per i mercanti del suo tempo. E stupiva, provocava perché voleva farlo. L’ l'originale non è mai così dedito alla sua originarietà. Del resto come scrive Clifford, i frutti puri impazzisco.
Leggo il nuovo libro
di Tommaso Pincio ( “Il dono di saper
vivere” Einaudi ) ed è un libro bello, prezioso, come certe opere d’arte che lo
diventano pur piene – ormai è un classico - di residui. Ci sono vari capitoli,
fino a note e considerazioni finali, quasi piccoli racconti o saggi.
E’ un libro che
inizia, racconta una storia, poi prende
una svolta, capiamo che abbiamo letto fino ad ora un libro “abbandonato” di Pincio (o del Narratore, è meglio dire) ma
sia la Prima Voce del Malinconico protagonista, che confessava il suo fallimento al lettore e ai muri della
prigione in cui era rinchiuso per non si sa bene che reato, sia la Seconda Voce
del “narratore vero” che pure ha in comune con
quel suo “non finito” personaggio molte cose, condividono un Fallimento
nel nome di Caravaggio. Tutte e due le voci infatti avevano in programma un
libro sul Caravaggio che resta non-finito. E la Seconda Voce riprendendo lo
spunto dalla Prima Voce, ne racconta ora
la genesi, anche se è la genesi di un “mancamento”.
Poi di fatto, quel libro è QUESTO che
leggiamo, è questo intitolato “Il dono di saper vivere” un libro con dentro molte
cose su Caravaggio, è QUEL libro su Caravaggio, ma che non può non avere – per
la storia narrativa di Pincio e per lo statuto di un’arte narrativa che sceglie
di sottrarsi alla “maledizione di dover raccontare” – che una forma labirintica.
La forma del labirinto più spietata e difficile è quella del bivio, e qui di
bivii ce ne sono tanti, si intuisce la storia di un Io minimo, le sue scelte di
vita, l’accademia, il lavoro a vendere telefax, la svolta della galleria, la
scrittura – poi immaginato, una colpa, un reato forse un omicidio (Ma Caravaggio, artista compiuto, anche quello lo
commise davvero)
I bivii iniziano proprio dalla via della Pallacorda, a Roma, dove successe il fattaccio e Caravaggio assassinò il Tommasoni, una strada racconta Pincio, stranamente fatta a bivio, ovvero con una biforcazione, ma entrambi i rami della biforcazione sono registrati nella toponomastica come “via della Pallacorda”. Ed è lì che finiscono sia la Prima Voce che la Seconda Voce nelle loro vicende raccontate, a fare i mercanti d’arte. Così che nel segno di questo destino – che sarà un fallimento, sarannoentrambi pessimi mercanti – si lega la loro vita a quella di Caravaggio, l’artista che finirà sulle banconote da centomila lire a rendere vero la realtà dell’arte che è quella dei soldi, lo era anche per Caravaggio che andrebbe sottratto alla sua mitologia romantica e pop di artista maledetto che non badava ai soldi. In qualche modo LA Seconda Voce – e dunque Tommaso Pincio lo fa. Ci parla molto di Caravaggio e facendolo parla di sé. Con mille derive, bivii, svolte inaspettate del flusso, ma con al centro una chiave che sa nel titolo.
I bivii iniziano proprio dalla via della Pallacorda, a Roma, dove successe il fattaccio e Caravaggio assassinò il Tommasoni, una strada racconta Pincio, stranamente fatta a bivio, ovvero con una biforcazione, ma entrambi i rami della biforcazione sono registrati nella toponomastica come “via della Pallacorda”. Ed è lì che finiscono sia la Prima Voce che la Seconda Voce nelle loro vicende raccontate, a fare i mercanti d’arte. Così che nel segno di questo destino – che sarà un fallimento, sarannoentrambi pessimi mercanti – si lega la loro vita a quella di Caravaggio, l’artista che finirà sulle banconote da centomila lire a rendere vero la realtà dell’arte che è quella dei soldi, lo era anche per Caravaggio che andrebbe sottratto alla sua mitologia romantica e pop di artista maledetto che non badava ai soldi. In qualche modo LA Seconda Voce – e dunque Tommaso Pincio lo fa. Ci parla molto di Caravaggio e facendolo parla di sé. Con mille derive, bivii, svolte inaspettate del flusso, ma con al centro una chiave che sa nel titolo.
Caravaggio (dice la Seconda Voce/Pincio, riportando il
giudizio di un biografo del 600) morì male perché “non ebbe il dono di saper
vivere”. Fece scelte sbagliate. A Quel bivo della Pallacorda fece la sua
peggiore, che lo costrinse alla fuga. Ma era Caravaggio e restò Caravaggio, lo
testimoniano le opere che dipinse pur fuggiasco.
E noi, sembra dirsi la Seconda Voce, che pure abbiamo fallito (fallito ancora, fallito meglio, alla Beckett) e non siamo diventati nulla? non siamo Caravaggio e non siamo riusciti nemmeno a scrivere un libro su Caravaggio?
Il Narratore racconta del giorno in cui – con la testa piena di questo suo mancato-libro – trovò un libro illustrato un “Tutto Caravaggio” di quelli che si facevano negli anni 70/80, con le riproduzioni e tutto, nella spazzatura. Ready Made, un segno. E da qui inizia la riflessione, la scrittura.
La letteratura ha uno statuto speciale: a differenza della musica e della pittura che presuppongono un difficile esercizio manuale, un’abilità tecnica oltre che creativa altissima e che ha sempre costituito il filtro tra chi fosse “artista” e chi no – è un valente artista chi sa dipingere “ e bene” dice lo stesso Caravaggio – la letteratura presuppone saper fare una cosa semplice, democratica, usare le parole, che tutti usiamo e e tutti possono scrivere oggi, è alla portata di tutti.
Per questo la letteratura è l’arte in cui “il fallimento” diventa uno dei temi centrali, quella in cui l’uomo senza qualità, il tipo anonimo di una moltitudine, può scrivere anche del suo nulla, del suo male di vivere, del suo non saper vivere bene.
E noi, sembra dirsi la Seconda Voce, che pure abbiamo fallito (fallito ancora, fallito meglio, alla Beckett) e non siamo diventati nulla? non siamo Caravaggio e non siamo riusciti nemmeno a scrivere un libro su Caravaggio?
Il Narratore racconta del giorno in cui – con la testa piena di questo suo mancato-libro – trovò un libro illustrato un “Tutto Caravaggio” di quelli che si facevano negli anni 70/80, con le riproduzioni e tutto, nella spazzatura. Ready Made, un segno. E da qui inizia la riflessione, la scrittura.
La letteratura ha uno statuto speciale: a differenza della musica e della pittura che presuppongono un difficile esercizio manuale, un’abilità tecnica oltre che creativa altissima e che ha sempre costituito il filtro tra chi fosse “artista” e chi no – è un valente artista chi sa dipingere “ e bene” dice lo stesso Caravaggio – la letteratura presuppone saper fare una cosa semplice, democratica, usare le parole, che tutti usiamo e e tutti possono scrivere oggi, è alla portata di tutti.
Per questo la letteratura è l’arte in cui “il fallimento” diventa uno dei temi centrali, quella in cui l’uomo senza qualità, il tipo anonimo di una moltitudine, può scrivere anche del suo nulla, del suo male di vivere, del suo non saper vivere bene.
In questo regno dell’inettitudine
che è la pagina, si giocano le sovrapposizioni narrative di Tommaso Pincio che
svoltando sempre, apre come sua abilità e peculiarita di scrittore, nuove prospettive, è questa una delle sue
capacità, una distopia che nelle sue pagine c'è c’è sempre, distopia del senso interiore del tempo.
E' la forma di un ‘immaginazione che sa fare del fallimento una gloria del discontinuo e del rimando. Un esempio di saldezza mite, dentro la tempesta.
Il libro è anche denso di molti spunti di riflessione su cosa sia l’arte, cosa sia oggi al tempo del mercato, e della massa che paga per vedere ciò che non continua non sapere e non voler sapere, accontentandosi del mito pop. Riflessioni su che senso abbia narrare di sé stessi, su come incida l’uso dell’immediatezza social nella vita – oltre che nell’opera – di uno scrittore.
Le sovrapposizioni tra biografica e opera fanno forse della letteratura un’ ancella del racconto, un’arte servile rispetto alle arti che più immediatamente, per diretto “Eidos” dei sensi – come la pittura con le immagini o la musica coi suoni – vengono fruite “senza bisogno di capire”. Le opere letterarie vanno invece faticosamente lette così come faticosamente sono scritte. E guai – proprio perché apparentemente alla portata di tutti – a farne una scrittura che dice cose come tutti - e quando come tale uno scrittore si dovesse presentare (Sono Walter Siti, come tutti) ci sta dicendo – per fortuna – il contrario.
E' la forma di un ‘immaginazione che sa fare del fallimento una gloria del discontinuo e del rimando. Un esempio di saldezza mite, dentro la tempesta.
Il libro è anche denso di molti spunti di riflessione su cosa sia l’arte, cosa sia oggi al tempo del mercato, e della massa che paga per vedere ciò che non continua non sapere e non voler sapere, accontentandosi del mito pop. Riflessioni su che senso abbia narrare di sé stessi, su come incida l’uso dell’immediatezza social nella vita – oltre che nell’opera – di uno scrittore.
Le sovrapposizioni tra biografica e opera fanno forse della letteratura un’ ancella del racconto, un’arte servile rispetto alle arti che più immediatamente, per diretto “Eidos” dei sensi – come la pittura con le immagini o la musica coi suoni – vengono fruite “senza bisogno di capire”. Le opere letterarie vanno invece faticosamente lette così come faticosamente sono scritte. E guai – proprio perché apparentemente alla portata di tutti – a farne una scrittura che dice cose come tutti - e quando come tale uno scrittore si dovesse presentare (Sono Walter Siti, come tutti) ci sta dicendo – per fortuna – il contrario.
E così la Seconda
Voce/Pincio, che nella vita non riesce ad essere artista visivo, che sarà un
maldestro venditore d’arte, si ritrova nella maledizione di dover raccontare e
basta, e anche a non saper/ poter
raccontare l’unica cosa che potrebbe fare, ovvero raccontare a parole la
vita di Caravaggio e fallire anche in quello.
Il racconto è sempre ancillare, è sempre una seconda scelta, in apparenza, anche in questo libro sulla sconfitta della letteratura di fronte L'Arte della pittura.
Lo è per la possibilità che ha l'arte di poter trasmettere immediatamente una logica della sensazione come scrisse Deleuze per Francis Bacon.
E tuttavia anche l’arte del 900 con Duchamp trasformerà
radicalmente lo statuto dell’opera, detronizzandola allo stesso livello “senza
qualità” fino al punto di fare arte da oggetto di scarto – e facendo però di
quello il più raffinato “linguaggio di scarto” dalla norma .
Tommaso Pincio costruisce così un libro con una sorta di accumulazione
di detriti e di residui di storie e pensieri fino a creare un mondo interiore,
un mondo altro da questo fallimento ed è questo che ci interessa.
Lo leggo, camminando e spostandomi dentro Roma, ormai sempre più decadente, in cui si accumulano altri detriti, e immondizia. Roma città di rovine, così importante per Caravaggio, così importante per Pincio autore, in cui le rovine ci dicono una glaoria passata, ma oggi le nuove rovine, le “insta-rovine” sono i sacchi di monnezza e su quelle – come in un slum di Nairobi o in una megalopoli cinese – Cinacittà – costruire un giorno la nostra gloria futura, la monnezza è la fondamenta delle rovine del XXX secolo.
Lo leggo, camminando e spostandomi dentro Roma, ormai sempre più decadente, in cui si accumulano altri detriti, e immondizia. Roma città di rovine, così importante per Caravaggio, così importante per Pincio autore, in cui le rovine ci dicono una glaoria passata, ma oggi le nuove rovine, le “insta-rovine” sono i sacchi di monnezza e su quelle – come in un slum di Nairobi o in una megalopoli cinese – Cinacittà – costruire un giorno la nostra gloria futura, la monnezza è la fondamenta delle rovine del XXX secolo.
Mi chiedo, mentre leggo, se nella monnezza accumulata sotto
casa mia come sotto la casa di quasi tutti romani, ci siano Ready Made pronti
ad ispirare arte o letteratura.
Penso anche ai bambini che ho incontrato alla discarica di Dandora a Nairobi, e chissà se uno di loro riuscirà a tirarsi fuori da quell’universo radicale – altro che “scarto dalla norma” – magari con l’arte o la letteratura.
In parte accade ed è accaduto – il “mercato” dell’arte da alcuni anni ha investito molto negli artisti africani e molti di loro non a caso del “panorama” di immondizia e fallimento storico hanno fatto trama, storie, opere. E gli editori europei, americani e i galleristi ci fanno i soldi. Vedi, mi dico, ha ragione PIncio, Caravaggio sulle centomila sta nel suo luogo giusto.
Artsiti africani che “vivono male” ma in altro senso, vivono lem lae creato da altri nel loro luogo, e da quel male ne vengono fuori grazie ai dollari.
Penso anche ai bambini che ho incontrato alla discarica di Dandora a Nairobi, e chissà se uno di loro riuscirà a tirarsi fuori da quell’universo radicale – altro che “scarto dalla norma” – magari con l’arte o la letteratura.
In parte accade ed è accaduto – il “mercato” dell’arte da alcuni anni ha investito molto negli artisti africani e molti di loro non a caso del “panorama” di immondizia e fallimento storico hanno fatto trama, storie, opere. E gli editori europei, americani e i galleristi ci fanno i soldi. Vedi, mi dico, ha ragione PIncio, Caravaggio sulle centomila sta nel suo luogo giusto.
Artsiti africani che “vivono male” ma in altro senso, vivono lem lae creato da altri nel loro luogo, e da quel male ne vengono fuori grazie ai dollari.
Tuttavia anche nel
raccontare più di un fallimento e più di un bivio mal scelto, il libro di
Tommaso Pincio apre (come sa fare la vera letteratura, l’arte) innumerevoli
spazi di possibilità, li apre all’immaginazione, alla scelta. Quando Kant
scrisse l’Estetica e la intitolò “Critica del Giudizio” lo fece non per dare
norme, ma per dirci – in sostanza – che l’arte è ciò che ci mette in
contatto con le condizioni di
possibilità del nostro stesso dare giudizi. L’arte non è morale, al contrario, la smonta –
e però nel sottrarsi a tutte le norme, alla fine accompagna noi nell’eserizio
più difficile, conoscere, ci porta in un'aleatorietà proficua, a immaginare d'essere cosa non sappiamo o là dove non conosciamo, ci porta a spostare in avanti
il giudizio al punto tale che poi arriviamo a scegliere, davanti a un bivio,
davanti a ciò che non sappiamo.
Il bivio della Via
della pallacorda, delle scelte di Caravaggio, il bivio delle decisioni o delle
decisioni subite, dalle varie voci di questo libro (compresa quella di arrivare
a scrivere un libro sul Caravaggio perché “lo dicono tutti che lo scriverai” e
a quel punto le Voci, i Protagonisti, quasi si arrendono a questo ineluttabile
del destino) sono le materie di questo libro.
Il linguaggio è la
differenza al lavoro, è il bivio tra inferenza e differenza, è la “differanza”,
quella serie di linee in cui la nostra vita differisce le sue cose nel tempo,
rimanda, sposta, non compie. E in questo non-fatto, non accaduto, non compiuto,
misuriamo sempre la nostra stessa vita, come differente-da (innanzitutto da
quel che sarebbe potuto accadere)
Se c’è un testo che sa essere più vicino alla logica della sensazione, per me è la poesia e i romanzi di Tommaso Pincio. La poesia di Pincio accumula e smonta, genera una diversa logica degli eventi, delle molte cose che accadono, sorelle anche delle mote altre che rimangono inespresse. A volte un ‘opera visiva, il cinema con i suoi tempi e piani temporali sovrapposti, riscono a farlo, a volte anche certe narrazni che si sottraggono alla sua logica più facile e al suo commercio più banale, per poi rientrarci portando il valore di contropelo della Storia. Picio lo fa col nostro presente, ma per fortuna non gettando il moscritto in un sacco di monnezza romana, ma pubblicandolo da Einaudi per diciassette euro e cinquanta centesimi, pagabili con banconote e monete dove non ci sono più artisti ritratti, ma architetture. E avvertendoci del pericolo di questa nuova economia senza ritratti, e dunque senza volto, come gli assassini.
Se c’è un testo che sa essere più vicino alla logica della sensazione, per me è la poesia e i romanzi di Tommaso Pincio. La poesia di Pincio accumula e smonta, genera una diversa logica degli eventi, delle molte cose che accadono, sorelle anche delle mote altre che rimangono inespresse. A volte un ‘opera visiva, il cinema con i suoi tempi e piani temporali sovrapposti, riscono a farlo, a volte anche certe narrazni che si sottraggono alla sua logica più facile e al suo commercio più banale, per poi rientrarci portando il valore di contropelo della Storia. Picio lo fa col nostro presente, ma per fortuna non gettando il moscritto in un sacco di monnezza romana, ma pubblicandolo da Einaudi per diciassette euro e cinquanta centesimi, pagabili con banconote e monete dove non ci sono più artisti ritratti, ma architetture. E avvertendoci del pericolo di questa nuova economia senza ritratti, e dunque senza volto, come gli assassini.
(1)
Sono a metà di questo libro di Tommaso
Pincio e un romanzo che intanto come sempre si segnala per una qualità di
scrittura che ancora non saprei definire un ma mi sembra che in questo caso
l'abilità sia nella come in altri costruzione del suo tono ma ci vorrei tornare
mi sembra un libro un quasi consorte libro sull'arte è una riflessione
sull'arte di essere se stessi Sui rischi dell'artificialità essere se stessi
infatti il tono di scrittura che Tommaso Pincio costruisce e in maniera
inquietante artificiale a qualcosa di artificiale come se ci fossimo Matt
traduzione di se stesso una traduzione da un italiano diretto e contemporaneo
verso un italiano che sembra quasi respirare le prose delle vite degli artisti
in cui viene raccontata anche tra le altre cose della vita di Caravaggio che
ogni tanto appaiono come frammenti di citazione in sé questa è la storia di una
Belle biforcazione della vita e di come queste non sono andate a buon fine lo
sappiamo dall'inizio perché quest'uomo che racconta racconta da una lunga
detenzione in carcere ancora non so che cosa abbia commesso sono a metà di
certo so che nella sua vita avrebbe voluto fare l'artista avrebbe voluto
scrivere un libro su Caravaggio a rimediato un lavoro giovanile come venditore
di telefax quindi qualcosa che si è esaurito anche nel tempo un passato ormai
quasi da modernariato Finito a lavorare in una galleria d'arte non ha fatto
l'artista pure avendo studiato accademia non ha scritto il libro su Caravaggio
per l'appunto ma con Caravaggio condivide una cosa e cioè il dono di non saper
vivere anche Caravaggio era una persona che probabilmente vivendo a vissuto
male come scrivono i suoi biografi è finito anche male come. Sottolinea il suo
biografo il suo lo scrittore del tempo un mese e però ascolta fatto grandi
capolavori fatto grandi capolavori in cui qua e là accettato se stesso come
Autoritratto cioè si è messo nel ritratto ad esempio della baracchino malato da
giovane si è messo il ritratto di Davide e Golia e nel ritratto della testa del
gigante e ma non si è mai fatto un vero auto ritratto il ritratto che noi
conosciamo di Caravaggio che poi è finito anche sulla sul denaro sulle 100.000
lire è un ritratto che ti ha fatto a posteriori un bravissimo ritrattista delle
E che era specializzato. Nel ritrarre volti degli artisti e dei personaggi e
quindi non è finito e definito sui soldi che sono tra l'altro la merce in cura
dell'arte quindi più grande artista italiano sta sulla banconota più costosa
più più importante sul pezzo più importante delle banconote italiane e questo
già prefigura qualcosa che forse verrà sviluppato che libro che era ancora devo
finire c'è una differenza però che apparivi dente che l'hai il dono di non
saper vivere o meglio l'incapacità di avere Questa vita positiva non hai
impedito a Caravaggio di essere il più grande artista della sua epoca e
propriamente uno dei più grandi tutta vita di tutti tempi mentre invece la
incapacità di vivere del nostro personaggio non l'ho fatto diventare un artista
pur tuttavia la letteratura invece è questa possibilità che viene data anche
agli netti e ai falliti di poter raccontare il proprio fallimento c'è qualcosa
di impotente nella letteratura rispetto all'arte ed è esattamente l'impotenza e
la Mino Rita Che ne fa però la parte più democratica come dice un certo punto
Tommaso Pincio il suo personaggio chiunque può fare di se stesso uno scrittore
effettivamente anche un po' quello che sta succedendo adesso c'è una
proliferazione enorme di romanzi non solo c'è una proliferazione enorme di
scritture di sì basti pensare. I socia al ognuno scrive con i socia al con gli
status con le foto con Instagram un infinito micro romanzo micro narrazione
diFatto per micro frammenti costruendo un personaggio di se stesso e dunque di
questo anche ci dice qualcosa il romanzo con le stendo romanzo in cui poi la
scrittura nonostante questo passaggio di artificialità lo ha proprio attraverso
la prosa rivela che di sicuro c'è una differenza tra pochi e molti e quella che
hai il dono di saper scrivere che a sua volta è un'arte è un'arte esattamente
difficile come la pittura ed è questo un po' di equivoco l'equivoco e la
incapacità di passare attraverso la forma Che hanno la gran parte degli
scrittori narratori poeti di oggi l'incapacità di far passare attraverso
un'elaborazione della forma il proprio racconto di sé e si pensa che basta
mettere il racconto di sé la pasta fare il proprio autoritratto vede subito
arte non è così anche nel raccontare la vita minima il proprio fallimento la
propria crepuscolare esistenza ci vuole un'arte questo libro a qualcosa che mi
ricorda Beckett mi ricorda la posa di dell'acqua per questo questo personaggio
nudo nella cellaMi ricordi i personaggi di Beckett sono così parlano
monologando da una posizione un po' quasi fetale e parlo al muro mi ricorda il
fatto che Beckett e si era fatto costruire una villa nelle campagne francesi
molto belle dove però davanti alla propria finestra davanti alla propria stanza
dove scriveva aveva fatto sollevare il muro della recinzione fino al punto di
non vedere se non il muro che lui doveva scrivere al muro quindi a qualcosa di
questa radicalità di questo racconto che deve farsi per forza radicale e lo si
fa radicale non tanto della eccezionalità degli eventi che fa a raccontare
quanto nella radicalità della Polly Azione che assume attraverso la scrittura
cioè è la forma poi della prosa come appunto accade in back da questa
progressiva Questa progressiva solidificazione è quasi fosse una a una lava che
poi si ferma diventa pietra ecco pian piano la prosa diventa questo la forma
della scrittura deve diventare questo e dell'impressione come se finora. Cosa
arrivato questo stia progressivamente avvenendo anche se non me le maniere
radicali beckettiano e c'è più medico di questa posizione perché poi Tommaso
Pincio la sua poetica e di questo poi parleremo parlerò quando avrò finito il
libro
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