La mia dieta è iniziata leggendo il libro “Cibo” di Helena Janeczek,
ricevuto mesi fa, mi è sembrato un buon motivo per recuperare. Era stato già
pubblicato nel 2002 da Mondadori e ora riedito da Guanda con un capitolo finale che proietta questi
quasi venti anni di “civiltà del food” dentro una più ampia questione che
riguarda la nostra identità culturale della stessa, proprio sulla scia storica di
un’epoca che per qualcuno (le destre occidentali) è stata segnata dallo “scontro
di civiltà “con l’Islam. Già da allora – ricorda Helena Janeczek nella postilla
2019 “Dalle torri, dalle cucine” alla nuova edizione Guanda – era iniziata
anche la battaglia in favore della Polenta e contro il CousCous, approdando
oggi all’apoteosi dell’identità vissuta come battaglia per il recupero di una
sovranità nazionale, che è imparentata alla rivendicazione trentennale della
Lega di una identità locale-regionale.
A mio parere – so che suona strano – ma la questione della rivendicazione “local” ha due volti, che in qualche modo inconsciamente si sono alimentati – meglio: hanno agito sullo stesso sentimento in parte dell’opinion pubblica: uno è quello della Lega di Bossi, la prima, l’altro volto è quello dello Slow Food di Carlo Petrini, l’anti-global della prima ora – e ai tempi, fine anni 90 c’erano medesimi fronti di protesta. Oggi la battagli anti-couscous si colora di nuovi casi, come quella contro il “tortello con il pollo” servito nelle scuole emiliane per far mangiare insieme musulmani e cattolici e visto come un’aberrazione, un cedimento della tradizione (ma ripeto: il purismo alimentare a me sembra figlio di slowfood, prima che di Bossi o Salvini).
A mio parere – so che suona strano – ma la questione della rivendicazione “local” ha due volti, che in qualche modo inconsciamente si sono alimentati – meglio: hanno agito sullo stesso sentimento in parte dell’opinion pubblica: uno è quello della Lega di Bossi, la prima, l’altro volto è quello dello Slow Food di Carlo Petrini, l’anti-global della prima ora – e ai tempi, fine anni 90 c’erano medesimi fronti di protesta. Oggi la battagli anti-couscous si colora di nuovi casi, come quella contro il “tortello con il pollo” servito nelle scuole emiliane per far mangiare insieme musulmani e cattolici e visto come un’aberrazione, un cedimento della tradizione (ma ripeto: il purismo alimentare a me sembra figlio di slowfood, prima che di Bossi o Salvini).
Da vent’anni il cibo ha colonizzato l'inconscio occidentale,
nella generale offerta di “godimento” di soddisfazione del desiderio che caratterizza
il capitalismo del narcisismo di massa, il capitalismo capillare e consumista,
in cui il prodotto soddisfa – e appena ne abbiamo voglia - il corpo e l’ego, in
un processo di “rilevance” del soggetto che supplisce tutte le assenze per un io-minimo
privato di storia, memoria, religione, potere, identità. E di qualcosa di
primario, tendenzialmente “le cose buone di nonna” – in realtà è dall’epoca del
Mulino Bianco 30 anni fa che è così, ma il processo di desertificazione dell’Italia
contadina è stato lungo.
Nell’alleanza tra un edonismo diffuso e continuo e l’offerta
povera dei migranti la cui prima chance è aprire un negozietto di cibo, da New
York o Londra o Berlino per non parlare di Parigi che sicuramente già ricca di
suo sia per la cucina locale che per quella integrata dalle colonie delle
seconde e terze generazioni.
Siamo sopraffatti
anche dall'idea di gustarlo e di trovare nel cibo la sublimazione di un piacere rizomatico,
che ha fatto del “desiderio” – che alla fine
degli anni 70 doveva essere la pulsione
destabilizzante dell’ordine borghese – la rivoluzione permanente circolare che
tanto crea caos quanto usa il medesimo per rimodellare un capitalismo che ha
saputo farsi malleabile e assorbire ogni urto critico eversivo trasformandolo
in “diversivo” ennesimo capitolo di un infinito intrattenimento al consumo (e
all’accettazione dello status quo necessario ad un consumo che nessuno, nemmeno
il più radicale degli antagonisti riesce ad evitare perché il pc con cui hackera, I jeans che indossa, I concerti
che vede, il cinema o le serie tv, il cibo che consuma, I vestiti, tutto è
inserito nel medesimo sistema di produzione e consumo capillare, sia I prodotti
lowcost, che gli indie che il lusso.
se facciamo un parametro dantesco, su cui torneremo, abbiamo
liberato i peccati di gola, tanto abbiamo irrigidito i peccati della carne e del
sesso.
Le ossessioni per il cibo il biologico prima e ora vegano stanno conquistando
i nostri scaffali dei supermercati consumato anche dai non vegani. La
proliferazione per il cibo va di pari passo con la paranoia per tanti cibi,
dallo zucchero ala carne per non dire le “intolleranze” che sono veramente
democratiche. Sulla sponda opposta, ovviamente le ossessioni per la forma
fisica.
Quello di Helena è un romanzo a due voci, di
fatto, in cui la protagonista, Elena, decide di fare massaggi per aiutare il
suo tentativo di dimagrimento o contenimento, e a Daniela, l’estetista che la
manipola, confida I suoi problemi e la sua educazione alimentare tra Germania e
l’Italia, dove era arrivata più che ventenne. A sua volta Daniela confida alla
cliente I suoi problemi col peso, con il cibo e tra le due nasce un’amicizia
sul filo dello scambio di ricette, aneddoti, consigli, e soprattutto tanti
racconti di vita delle due donne alle prese con una non facile esistenza,
ognuna delle due per motivi diversi. Dolci e cibi tedeschi, poi italiani, questo
I terreno comune e per entrambi la passione di un gusto speciale, poi ricordi
del cibo ebraico della famiglia di Elena.
La Germania dei ricordi di infanzia – ovvero per ogni
persona il paradise lost del proprio gusto, è lo stesso luogo in cui – in casa
del carnefice – s’era rifugiata la famiglia della protagonista, come anche dell’autrice.
E il carnefice a un
certo punto compare nel libro in poche righe poi scompare di nuovo, tra i ricordi
infantili, Hitler che amava il suo cane e era vegetariano, aveva un'infinità di
problemi col cibo (qui viene in mente per collegamento un altro libro, sempre
legati al cibo e all’epoca nazista, le assaggiatrici)
Hitler aveva un rigido regime alimentare, afflitto da mille
problemi di ulcere e cattiva digestione. Ma la dieta di per sé è definita “un
regime” alimentare, ovvio, ma c'è qualcosa nelle diete che richiama proprio una
dittatura con la contraddizione che oggi, ci sono due regimi che si scontrano
apparentemente è un po' come il totalitarismo occidentale e il totalitarismo
nazista o comunista, c’è il regime delle diete, per noi occidentali sovrappeso,
ma c'è anche il regime pervasivo e totalizzante del cibo offerto ovunque.
Nei ricordi di Elena non c’è solo l’aneddotica di gusti
perduti, la memoria infantile e adolescenziale affonda in quelli di una
generazione nata negli anni Sessanta, figlia di quella che era adolescente
durante la guerra e che ha fatto la fame. Nel riscatto della ricostruzione finì
anche l’ipernutrizione dei figli, ma no solo.
Le dinamiche del cibo aprono a sofferenze che però guarda
caso non riescono mai ad essere generazionali (mentre invece per la droga c’ sempre
una Christiane F. da raccontare, un’epopea giovanile. Elena ritorna invece a
memori di dolore legate a bulimia e anoressia, quest’ultima un inferno, ma
anche la prima lo è, sebbene oggi chi divora cibo sia annoverato tra I malati psichici,
mentre per Dante erano peccatori e li ficcava all’Inferno, anche loro. I
disturbi della psiche legati al cibo fanno parte di una storia di emancipazione
dolorosa di una generazione che è cresciuta a cavallo con genitori piantati con
la testa nell’800 e un futuro completamente diverso di cui la generazione nata
negli anni 60 fu la cerniera tra la fine del vecchio mondo e le incognite del
nuovo, con l’aggravante che – come I genitori di Elena/Helèna – parte di quella
generazione soffrì della stessa sofferenza di Dante, l’esilio, fu “displaced
People”, profugo, ramingo. Si portò dietro il sapore suo o la mancanza d’esso.
Fossimo stati all’oggi magari avrebbe aperto un fornaio di pane sciapo a
Ravenna. Proprio come ora I mangiatori di cous cous vengono a insidiare la polenta
aprendo mille attività di facile presa, quelle culinarie.
Un destino, ammalarsi col cibo, anche per Ruzena divisa tra occidente
e oriente, esule da Praga a cui sempre sarebbe voluta tornare, di cui sempre
ricordava sapori e profumi. La Storia sembra penetrare le esistenze sul filo
dei ricordi di cibi e viceversa, è la memoria alimentare – nel suo classico
micro choc involontario – a generare ricordi, da quelli di Franco Montesimone o
Teresa Aiace, nei dettagli seguiti su un filo narrativo continuo e irregolare, in
ci tutti I frammenti si ricompongono, come nella bellissima e malinconia storia
dell’amica etiope campagna di scuola in Germania, scomparsa troppo giovane,
rievocata nelle memorie di una
sorellanza fatta amicizia, nel nome di
una cultura per entrambe egemone, prevaricatrice o coloniale, se osservata col
taglio dei dominanti e dominati, ma pure sentita come propria intimamente da
due ragazze tedesche, europee, che amavano Bruckner, Shakespeare, Bach così
come amavano I cibi delle loro radici.
Così il nostro mondo sta cercando di cancellare le sue
memorie future, anche se più nega legittimità ai cibi di altre culture, più
ogni città – complice il desiderio, lo stesso che ci fa essere consumisti - è
contaminata o meglio: integrata, innestata, con cibi di tutto il mondo. Che sia
reale integrazione o facciata, preso dirlo (lo stesso accadeva con la cultura
greca a Roma o quella black-afro negli Stati Uniti o quella ebraica un po’
dovunque – e arabo-turca, allo stesso modo.
Una cultura che assorbe e ingloba l’altra, il processo si ripete.
Ha il simbolo proprio nelle Torii Gemelle, e nelle sue cucine cui Janeczek
dedica il capitolo conclusivo. Il World Trade Center, simbolo del commercio
mondiale, della dominazione globale delle big company soprattutto per lo sfruttamento
alimentare (si parla molto di data Facebook e Google, ma non si parla mai abbastanza
della borsa di Chicago, delle quotazioni dei mercati globali delle materie
prime alimentari a partire dall’acqua, vere dominazioni globali). Nel world
trade center però la cucina corrispondeva - nella sua molteplicità di culture e
di lavoratori addetti - alla varietà di culture e tradizioni culinarie delle
molte etnie del personale che lavorava nelle torri, delle bocche da sfamare. Un
dato che sono solo annullava le differenze o meglio le faceva convivere così
che da un lato contraddiceva la tendenza all’omologazione che avrebbero le big
company del food, magar iper far consumare a tutti gli stessi alimenti, così da
risparmiare nella diversificazione. E questo un dato che non sarebbe piaciuto
ai big boss del WTC, ma pure non sarebbe piaciuto agli integralisti islamici, che
avevano puntato alle torri come simbolo di un dominio occidentale che
schiacciava le differenze, mentre il suo ventre profondo, che si rivelava in quello
che veniva cucinato e da migliaia di bocche veniva ingerito fatto di tutte le
culture, un world food center. Tutti I sapori del mondo. cucine e ristoranti,
che rappresentavano proprio quelle culture alimentari che il WTC ogni giorno contribuiva
ad impoverire.
Sono stato sposato per 7 anni. Il mio matrimonio si è deteriorato per un po 'di tempo, quindi era destinato a sciogliersi. Ero la sua moglie leale, fedele, solidale e fiduciosa. Aveva un altro lato selvaggio che è andato fuori controllo. L'ultimo incidente è stato quando ho scoperto che aveva una relazione 2 settimane prima del nostro 14 ° anniversario di matrimonio. Di punto in bianco mio marito ha appena lanciato il discorso sul divorzio su di me. Ero così ferita ed essendo una donna indipendente, pensavo di poter sopportare l'essere single. Era così difficile andare avanti, quindi ho dovuto chiedere aiuto. Il nostro terapista matrimoniale pensava che "qualcosa" non andasse bene in mio marito. Sono andato online e ho scoperto il dottor Adeleke e le sue buone recensioni sul lavoro di incantesimo. L'ho contattato per un lavoro di incantesimo d'amore e ho fatto tutto ciò che il dottor Adeleke mi ha ordinato di fare, 2 giorni dopo la mattina intorno alle 09:34, sono rimasto totalmente scioccato da come mio marito mi ha chiamato dicendomi quanto gli mancavo. Il suo incantesimo ha funzionato su di me così velocemente e mio marito è stato così amorevole, naturale e sto avendo un matrimonio felice dopo aver usato il suo incantesimo d'amore. Se sei in un matrimonio senza amore e infelice che non può essere salvato, credimi ... C'è luce alla fine di questo tunnel. La dottoressa Adeleke può anche lanciare incantesimi di morte, risolvere casi giudiziari, riportare indietro la tua partner omosessuale e riportare indietro la tua partner lesbica. Puoi raggiungerlo sul suo Tel / Whatsapp +27740386124
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