La maternità è da sempre un business. Ben prima che lo diventasse con il mercato degli uteri in affitto nei paesi poveri ma prolifici, a vantaggio di un Occidente ricco e sterile. Generare un figlio nelle culture della colpa e del dio unico, padre padrone di un amore infinito, significa da subito aprire un registro del dare e avere. Tanto ci viene data la vita, nutrita col corpo di latte, protetta e svezzata, tanto la madre che lo fa anche senza volere si aspetta di avere indietro – nonostante la mitologia delle maternità votate alla dépense assoluta – altrettanto amore, cura, riconoscimento.
E’ un business che Freud per primo ha analizzato e il mercato è quello
dell’identità attraverso l’investimento di amore e colpa.
Antonia, madre cinquantenne di Anna, ragazza adolescente che soffre di
anoressia, inizia a capire, anche grazie al confronto con altre madri come
Alice, Sara, anche loro con figlie che soffrono dello styesso problema e conosciute
in un gruppo di auto-aiuto, che c’è qualcosa che non va nell’amore. Il
tentativo di capire il punto della vita in cui “qualcosa è andato storto” –
come dirà a un certo punto Antonia – le porta a volgere indietro l’indagine, al
momento in cui forse qualcosa della loro crescita come donne si è formato quel
complesso di identità, corpo femminile, desiderio di libertà che le riguarda e
che hanno riversato sulle figlie, trasportato forse ereditato inconsciamente da
un passato di generazioni.
E’ l’ambivalente potere dell’amore, dello stesso innamoramento totalizzante che la madre prova verso i figli ciò che mina la relazione (rischiando di deformare d’ora in avanti tutte le loro relazioni) . Antonia di è data anima e corpo alla crescita della figlia, travolta e persa nei suoi occhi di essere umano generato, come un innamorata, ma “Era forse da quell’innamoramento che era scaturita la malattia?” si chiede Antonia a un certo punto, mentre Sara e Alice, rievocano il loro passato di figlie, i rapporti con i genitori, i coflitti, a volte i lutti. Forse un trauma, forse un dissidio del passato lascia la sua ombra, si trasmette, si dicono seguendo alcune ipotesi della scienza recenti. Forse però non è il passato visibile, narrato, ma – secondo alcune teorie neurobiologiche accennate da Alice – il non detto, i traumi delle generazioni più lontane. Perché c’è qualcosa di più profondo della Storia, delle relazioni parentali, dei dissidi culturali tra genitori e figli, divenuto anche conflitto di valori, politico, divisione del mondo, in queste tre donne nate negli anni 70, a cavallo di grandi trasformazioni sociali, che hanno avuto madri e padri che hanno attraversato il 900 della liberazione dei corpi e delle soggettività.
Non è solo la Storia, per Alice, Sara e soprattutto per Antonia, che si porta
dietro un peso che emergerà nel corso del libro. C’è una cosa più importante e
indecidibile e che perde il “contatto con la complicatezza di essere una
persona intera per ritornare a essere un corpo e basta, e poi nemmeno piú
quello”. E’ proprio la possibilità naturale – ma anche il potere – di dare
vita. Nuda vita, si potrebbe dire con
una formula di successo della filosofia.
Nudo chi genera e chi è generato. E’ in quel punto dell’essere che inzia una genealogia di solo
dare e avere, se iscritta nella storia fatta di ruoli, poteri, famiglie e
dunque interessi. LA vita è più indietro, ed è da quel punto cieco e senza
organi, senza aggettivi, senza derive, forse perfetto come un uovo, ma forse
più ancora perfetto come un vuoto, che noi siamo originati, da lì veniamo.
Questo vuoto però è anche una vertigine.
“Da dove veniamo?” è la domanda chiave
di questo romanzo , lo fa senza tesi ma seguendo con una precisione
millimetrica e a al tempo stesso naturale, ogni sfaccettature, l’evoluzione
interiore di Antonia , delle sue amiche, così come della figlia Anna che si
sottrae al rapporto ma al tempo stesso è presentissima. Tutto sembra
complicarsi con l’innesto di Jessie, giovane californiano che si ripresenta da
un passato fino ad ora solo ipotetico e che imprime una accelerazione alla
coscienza di Antonia. Jessie ha ventisei anni ed è nato dall’ovulo che Antonia,
studentessa in California dopo la laurea, aveva donato a Myrtha, più grande
come una sorella maggiore e che l’aveva
portata a un punto di consapevolezza che forse come donna, figlia non aveva
ancora. Ora Jessie ha deciso di cercarla, ma chi è quel giovane uomo
californiano? Un figlio? Oppure come si
ripete Antonia “i figli sono di chi li cresce, chi li educa, di chi li ama?”
Dopo quel dono, Antonia aveva rotto tutti i rapporti con Myrtha e David, il
padre di Jessie, e quell’ovulo erarimasto fantasma, un vuoto una manque,
un’esistenza ipotetica, un figlio possibile che tuttavia non viene dal futuro,
il tempo che in genere si associa ai figli, ma dal passato. Qui il romanzo di
Sarchi raggiunge una complessità densa e ricca di spunti, anche interrogando
una posizione di potere femminile che c’è dentro una posizione sociale di
genere storicamente svantaggiato, tutto senza mai perdere la forza narrativa
naturale (anche il romanzo, come la maternità è un ambivalente risultato di
artificio e naturalezza).
Se da un lato tutto il racconto è sbilanciato sul piano del
femminile nell’oscillazione della maternità come ambivalente ( prigione,
obbligo sociale confine della donna dentro il perimetro della famiglia; oppure grande potere delle donne medesime, che
plasmano un essere dal nulla) con Jessie si affaccia un figlio che rivela la
dimensione maschile.
Un giovane uomo che se da una lato non è scialbo e quasi
sfondo come le figure dei due padri (Paolo e David, non per debolezza della
scrittura di Sarchi ma perché il maschile non è più centrale nella questione
procreativa, grazie alla tecnica – dalla
pillola alla procreazione in vitro), dall’altro esprime da subito la sua condizione
vitale di disperso, lasciato dalla sua ragazza Allison e scosso dalla rivelazione
della madre. Sul principio Jessie non si raccapezza, la sua identità vacilla: “
Il passato ondeggiava, mosso dall’inconciliabilità dei ricordi e di quanto
Myrtha gli aveva appena rivelato, il futuro gli pareva azzerato, senza Allison.”
LA mancanza, la manchevolezza che si era sempre sentito dentro, forse parte in quanto figlio e
maschio, di quel “do ut des” che è la maternità, ora esplode. L’aver avuto in
dono la vita e l’amore e il dover essere di una restituzione che lo faceva
sentire sempre in debito, alla rivelazione di essere figlio di Antonia e non di
Myrtha, lo sgretola: sente di essere fatto di “pezzi diversi “ma contenuti in ogni caso da
un vuoto ormai aperto come un abisso di mancanza e al tempo stesso propulsione. E’ lì in quel vuoto che la
sua identità si svuota di passato, non vede il futuro. Chi sono, da dove vengo diventano allora prima di ogni
storia, discorso, “una questione di carne prima ancora che di pensieri, con tutto
quello che d’inesprimibile e di oscuro la carne si porta dietro”.
Qui Sarchi lascia che si intraveda un punto di contatto tra Jessie e Antonia nel
non avere contatto, nel corpo come questione dirimente della biopolitica, non
solo per le donne: quand’è che io sono io, e dunque ‘mio’ o mia? Forse quando capisco da chi provengo? O
forse quando – come fa nel moto contrario l’altra figlia Anna – mi libero e
liberato da ciò che sono gettando via anche l’amore che mi impone ciò che devo
essere? Quando vado a ricongiungermi al corpo della madre o quando lo nego?
Lo stesso vale per chi genera: la responsabilità dell’amore è già un’ipoteca di
interessi che poniamo sulla testa dei figli come un giogo? E forse allora il
vero gesto di amore disinteressato che genera persone e non solo figli è stato
il dono americano di Antonia, che di fatto si è concretizzato in un abban-dono.
O meglio un lasciarlo quasi come un colono, alla deriva di un continente
sconosciuto.
Jessie sente prima lo spaesamento, spodestato da una storia famigliare, lo
sente anche fisicamente, perché la sua vera madre è letteralmente di un altro
continente, di un’altra lingua – anche se lui ha imparato l’Italiano, perché Myrtha ha
sempre voluto tenere i legami, seppur ipotetici con la sua genesi. Dapprima sta
immobile in uno spazio fermo e irreale “come doveva essere stato fermo e
irreale il momento in cui Antonia aveva deciso di fare il suo dono, come doveva
essere stato fermo e irreale il momento in cui le due cellule si erano
incontrate nella trasparenza del vetrino”. Poi si decide nell’attraversamento
di quello spazio e dall’irreale e ipotetico, si presenta, rivendica
l’esistenza, una sorta di “ privato habeas corpus”, un rivendicare il diritto
di esserci, corpo filiale, ma altro, separato, non sottoposto alla totalità (a
rischio totalitarismo) della cura, che a
volte è pure dominio. La sua esitenza in
carne e corpo rivela ad Antonia che “ la gravidanza che ha voluto e vissuto è
stata un cedere parti di sé prolungato” ma cosa cedeva e per liberarsi da cosa?
Forse proprio dalla paura di lasciar andare l’altro da sé, come sé dall’altro, tanto
ache la dedizione di cura svezzamnto e crwscita per anna sono prigione. Jessie
invece è totalmente figlio suo, senza esserlo. Senza essere passato da
quell’ambiguo potere di chi non ha
potere storico, che sono le madri.
Antonia è cresciuta “tra i totem della maternità” le dice Paolo, p
resenza discreta e solida seppure relegata all’angolo, “ma forse ne hai paura”.
E Antonia sente ora in sé la
trasfomazione “essere madre ti fa sentire grande non solo perché hai generato
una creatura che prima non esisteva, ma anche perché hai attraversato la morte,
ne hai sentito la vicinanza. L’hai fatto non per te, ma a favore di un altro. E
questo ti fa credere di avere dei diritti, di avere un potere.” Essere madri,
per una donna, sconta il paradosso di essere detentrice di un poter ben superiore – genera la Vita che è qualcosa di più che la Storia, da
cui pure le donne sono storicamente escluse o tenute ai margini dal potere
maschile. Ma a sua volta proprio quello che comunemente è definito un gesto di
puro amore – dare la vita – si rivela un potere assoluto sulla persona
generata, a partire dalla parte esteriore dell’identità, che è il corpo,
somigliante per forza di biologia. E’ proprio questo il primo rifiuto che
compie chi smette di mangiare, cancellare il propri ocorpo, infrangere quello
specchio di somiglianza, rigettare la sessaulità femminile e il suo connaturato
elemento riproduttivo. Così fa Anna, come le altre ragazze e antonia, che pure
con la sua azienda di produzione id cibi biologici, il suo allevamento di
animali che crescono “in modo naturale”, non è riuscita nel tentativo di
crescere sua figlia in modo altrettanto naaturale. Ma esiste un “modo
naturale?” o non è tutto fruttodi Storiaconvenzione cultura e duqnue ancora una
volta potere? Jessie è un figlio fuori
dal corpo della donna che ne è madre. La tecnica di riproduzione artificiale
genera un passo di cnsapevolezza. JEsise è figlio del vuoto, ma stavolta la manxxanza non è un precipizio,
un’amputazione, bensì agisce storicamente nela trasformazione “ ciò che non
vedi è l’assenza o lacuna che ha creato quel movimento” si rendeconto Antonia.
Nel suo essere dilaniata, incerta, fragile, Sarchi mette in azione
un’indecidibilità etica su quale sia la strada giusta, lascelta migliore.
Essere madre o non esserlo, costrizione o emencipazione? Potere o mancanza di
potere, per una donna? Dilaniata dalla duplice spinta della sua maternità tra
Jessie e Anna, Antonia sembra quasdi pronunciare un dispeerato “io sono mia”
privato : “Che volete da me, vorrebbe dire a entrambi: a quel figlio che non è
figlio e a quella figlia che non vuole esserlo; che volete ancora da chi vi ha
dato la vita, e ora non è nemmeno piú sicura che ne sia rimasta per sé, che sia
avanzato un po’ di desiderio.” La resa alal sua imperfezione, con anna, passa attraverso
il paradosso per cui una figlia mata e cura ora la rifiuta e questo figlio-non
figlio, ababndonato quando era solo ovulo, ora la reclama. “non c’è garanzia
nel sangue” si dice antonia, ma non c’è mai forse. Non c’è nessuna garanzia che
l’amore dato sia reso con l’interesse come è tipico diquelal contabilità che il
romanticismo e ilcattolicesimo hanno mascherato col nome di “amore” facendone
una costruzione letteraria e mitologica di un
sentimento che se si fa discorso, allora è solo per essere letteratura.
L ostesso pianto, scoperto per caso nelal madre di antonia e poi provato una
volta adulta, che le donna hanno ad ogni mestruazone conclusa è ambivalente
desiderio di una restituzione con l’interesse di quella vita che fluisce nel
sangueche, lavato via, finito in unassorbente, sembra solo una spreco. Invece è
proprio lo spreco, il dono incosciente senza interesse che aveva generato il
figlio che ora sembrava resitutire in modo altrettanto disinteressato un amore
non rischiesto. Indicibile e in fondo irrazione era dunque la speranza, e se un
figlio rappresentava l’utopia o la speranza, generarlo doveva essere un atto
senza coscienza, senza illusioni, univco modo per evitare che fosse la
fondazione di un potere. Dar vita a un figlio come atto di necessità o come
atto del caso? il gesto di Antonia di donare senza pensare troppo, il suo ovulo
a Myrtha, è un attimo perfetto: “Un dono in fondo non è mai una necessità, e
forse nemmeno una responsabilità”. Nel
fare un figli consapevolmente c’è una responsabilità enorme, della sua esistenza,
del suo futuro. Non è solo paura per il figlio, ma paura DEL figlio stesso, che
ci inchioda a questo impegno e forse propri oer questo la volontà di dominarlo,
di falro a nostra imamgine esomiglianza di amrlo totalmente diventano una
necessità di sopravvivere a quelterrore. Ma stavolta è un figlio che non è un
figlio – e Myrtha una madre che non è una madre -a d aprire antonia la
strada,verso una consapevolzza. Come lafiglia anna cedeva via il suo corpo per
liberarsi dalla stretta materna, solo ora che Antonia con Jessie ha potuto
vedere il frutto futuro del suo aver ceduto parte di sé stessa, col suo ovulo,
ora antonia matura un idea diversa del dono, non come sacrificio che implica
sempre una restituzione (è lo snodo centrale delal reazione di Dio all’amore di
Caino, che gli offre in sacrificio degli agnelli, ritenuto da Dio troppo
implicitamente interessato a volere dietro quell’oferta un ritorno di amore da
Dio, così come aveva fatto per abele). Solo liberandsi della maternità, di ogni
sua idea, pensiero, responsabilità, una donna può ritrovare il suo esere genitore dentro la
storia, indipendnetemente dall’esserlo naturale o meno, alzando lo sguardo
verso un percorso di futuro, magari anche verso un punto luminoso, ma generato da una
lacuna, da un punto cieco, che ha tutavia
la forma perfetta di un vuoto che ha la forma perfetta di un uovo.
COME HO TROVATO IL FAVORE NELLE MANI DEL Dr. Adeleke ... Mi chiamo Agda Noah e vengo dagli Stati Uniti, Washington. Ho sempre promesso di raccomandarti alle persone là fuori che potrebbero anche aver bisogno del tuo aiuto, perché trovare la tua e-mail è stata la cosa migliore che mi sia mai capitata, Dr. Adeleke sei l'uomo più premuroso e compassionevole che abbia mai conosciuto. Ero così giù dopo essere stato senza amore per quasi cinque anni. Ho richiesto un incantesimo d'amore di ricongiungimento e sorprendentemente ha funzionato. Vivo felicemente con l'uomo più adorabile al mondo ed è per questo che ho pregato. Grazie Dr. Adeleke non sarebbe abbastanza, considerando quello che hai fatto per me, così ho deciso di condividere questa testimonianza del tuo lavoro manuale a tutto il mondo per conoscere il tuo buon lavoro per me. Puoi contattare quest'uomo per qualsiasi problema di relazione e anche lui ti aiuterà, tramite la sua e-mail: aoba5019@gmail.com o chiamalo / whatsApp +27740386124
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