Scrivo di “album” (titolo in minuscolo) di Elisa Donzelli come un diario di lettura. Preferisco attraversare i libri, più che distanziarli come oggetti. E’ una poeta (o poetessa, o una donna in poesia, sia proprio il sostantivo di chi scrive) che dedica la sua attività alla poesia, anche con la casa editrice e come studiosa (di Caproni, tra tutti, di Char, Sereni e altri). E’ stata allieva di Biancamaria Frabotta come me. Più giovane di me, ha studiato con Frabotta in anni diversi dai miei, ma per usto – e ribadito nel segno di un lutto comune – trovo nei suoi versi e nel suo approccio, il coagulo di un’eredità – del secolo starei per dire.
Ne
scrivo un po’ come una lettera o un diario di appunti di lettura. La sento come
autrice che sta dentro un comune album di famiglia.
Elisa Donzelli scrive e compone questo
suo “ album” pubblicato da Nottetempo, che certo contiene tanto della sua storia che
per molti tratti è nostra, per definire un tempo che sia però del futuro
guardato con gli occhi – come scrive - “di
mio figlio che adesso / vuole raggiungere /la tua età /la mia” . Sono i versi
che in corsivo ci accolgono aprendo “album” e danno il timbro di senso, già
dentro un mise en abyme di sogno sognato, presenza di storia e immaginazione
del futuro, che sono gli anelli a catena di questo libro. Dentro c’è il secolo,
come dicevamo e anche oltre, sia prima che dopo.
Il tempo storico è anche l’ “ adesso “ e guarda oltre, si trasforma nell’angoscia
di un nuovo clima che ci sarà. Cito i “Nuovi climi” di Frabotta, parte dell’opera
della nostra Maestra è stata dedicata a un’attenzione sia politica che
creaturale alla natura tutta. Quel solco di intuizione proprio di Frabotta è
parte anche dell’Album di famiglia di Donzelli, inevitabilmente: la traccia è
nell’uso dello stesso autore citato in dedica in “Nuovi climi” , è una frase di Bernardino de
Saint-Pierre che in una torrida
primavera seguita a un inverno rigidissimo, scende nel suo giardino “per vedere
in che stato si trovava”. E’ il 1 maggio del 1789, la frattura di un clima inatteso,
sappiamo noi oggi dagli storici, ebbe molto a che fare con la Rivoluzione
Francese. Il clima, ancora oggi, sarà la
nostra storia, quella dei figli.
E ancora: ereditare una consapevolezza umanistica, un album storico di presenze,
sovrapposte in epoche (“ottanta novanta zero dieci” scrive nella prosa Villa
Torlonia) due ere di donna, con il presente impegnato a farsi carico di
traghettare anche un figlio verso un futuro, nell’incognita di come sarà, ma
nella consapevolezza che potrebbe essere sia
splendido che tremendo. Ogni album personale o anche collettivo ma che
parta da sé è il giardino di una Storia. Così si eredita per un figlio anche un’attitudine
alla rivoluzione dello sguardo: l’io-poeta al figlio: “mostrarti che dal basso verso l’alto/il ramo
non appare maestro”. Il declivio non è un declino, ma l’avvio verso “un altro/
paesaggio”.
Mi piace di questo libro – e vorrei dire al tu: cara Elisa - soprattutto che non sia solo memoria, ma che la
traccia archeologica del passato brilli
in una scia estiva di novità della vita, nel travaso del bios. Che continuità è
la Storia? Forse quel misto di “forza e biologia” che citi nella poesia dal
titolo “rdt”. E così quel bambino che poteva non nascere nell’istante di
pericolo di un viaggio africano, nello sporgersi incauto durante il “viaggio
di nozze”(titolo) regala la
consapevolezza che prima della storia c’è la specie che procede dentro questa
incoscienza (“per nascere bisogna/ farsi ombra, qualche volta morire”). La
specie che sta dentro il tempo e lo nega, lo disgrega, lo connette a tutte le
epoche non nel nome ma a qualcosa di più profondo.
Così
quel bambino, durante una visita a tombe antiche, è già alla fine della sua prima infanzia, una stagione
per certi versi di demoni e di bestie, di vitalità e – di nuovo - anche di incoscienza. Tutto passa in giovane
curioso che alla collina di Monterozzi (titolo) resta a osservare più a
lungo degli altri la tomba antica: “ solo per descrivere quello che vedi sui
muri / come se la morte fosse un disegno/ sbiadito dal fiato dei vivi”. Sono versi molto
belli, difficilmente spiegabili, per paradosso nella loro limpidezza. Non
indugi, cara Elisa – prendo cambio la prospettiva nel tu - a impressionismo a suggestioni ed emotività,
come a tua volta ti è stato insegnato, laicamente. I poeti per te sono un varietà del paradigma esistenziale,
una cura, una coltivazione dell’etica oltre che della percezione, una scienza
entusiasta che persevera.
Che – come nella poesia “colori” - si nutre dell’energia dei “minori in
agonismo” impegnati nella scoperta delle cose, che rinvergina ogni conoscenza
che potrebbe portare a conclusioni leopardiane, ma qui non avviene tanta è la
vitalità, l’effervescenza che fa da contrappeso ad una scienza sempre a rischio
d’esser triste. Lo scenario di questo Album è Roma, perfetto nel suo incastrare
le ville giardino (Ada, Torlonia, gli argini dell’Aniene) in un castello stratificato
di memorie, dove a volte appaiono fantasmi fotografie, flash di memoria,
ricordi precisi o ricordi che sono una sperimentazione dello scardinamento del
tempo stesso. Anche questa estrazione di conoscenza dalla memoria e non solo
l’entusiasmo del nuovo per giovani menti, è la meraviglia. Ogni libro come
“album” è anche, involontariamente, proustiano.
Se i tuoi pianeti maggiori sono stati nello studio, insieme a Frabotta, anche
Caproni, Char, Sereni o Bertolucci (cito solo questi, per come li so io ma ce
ne saranno certo altri) credo che collocare una serie di poesie nella cornice
di Roma, assorba dalla città il confrontarsi con mondi paralleli in un
carnevale delle epoche suo tipico.
Direi perfetto per un libro plurale, che oggi contiene fasi della vita di una
mente e di una donna, e forse di molte che risuonano attorno, per la quale
questo percorso non prescinde da una scelta in cui la poesia è parte di
un’elaborazione politica, di soggettività che assume la praxis di lotte e
impegno femminile come un metro di
misura di storia e utopie. Senza dimenticare però un più diretto confronto di
modelli, tra modelli femminili. E diventa anche proprio con la poesia, scritta,
letta studiata una materia prima di percorso nella costruzione della coscienza che
in senso ampio diciamo femminista,
sapendo che comprendi come qui non lo intenda nel solo limite di una militanza
politica.
Quella
militanza prende atto dell’oggi, nell’incontro tra “coetanee” dentro una
trasformazione che forse porta nella poesia tutta quell'eredità politica, se da
un lato si sa che “non serve sapere da che parte sia una madre/ nella geografia
dei nostri strani posizionamenti” perché dall’altro appare chiaro che “le
conquiste si sono perse/ persi i diritti pari le perdite”.
Femminista lo direi proprio in virtù di quella maestra di poesia ed esistenza
che fu Frabotta nel solco di una comune viandanza e lo resta anche là
dove prendi accenti di nostalgia o di malinconia, meglio, la rielaborazione di
memorie necessarie per guardare avanti.
Ecco nella prosa “Villa Torlonia” aprendo “la scatola delle fotografie” il tuo Io poetante scrive: “c’è una solo immagine di te con me nella villa, quando non ti volevo nata”. Il tremendo c’è anche nel confronto tra figure femminili, il conflitto è parte, mi sembra, del tuo percorso di coscienza (lo hai ricordato davanti alla bara di Biancamaria, in quel maggio dolce di Roma, quanto sia duro e non solo di generica sorellanza e filiazione quel confronto, ma da maschio posso dire che quanto più aspro c’è tanto più vuol dire che si tratta – come noi maschi con i padri storicamente e simbolicamente – di un confronto di accresciuta rilevanza della presenza femminile. Ma questa è solo una parentesi che solo accenna una questione enorme).
Questo
tuo slargo prosastico mi consente di fare una sosta, per riflette sulla forma
che possiamo dare ai nostri versi. Sei studiosa di Char, ne sai di più di tutti, ma provo a dirlo in breve.
L’assillo
della “forma” è stato nella storia del
900 una “poetica”, un aggancio a filosofie – il sogno, il linguaggio del sogno
e del segno, una certa fenomenologia, un
senso della storia, un pensiero del negativo, anche una teologia per certi
aspetti – e ideologia, per altri. Poeti che hanno scritto seguendo la loro
“musica”, a volte un timbro, un ritmo, un battito dell’asma. Altri hanno
seguito ideologie, calcate su teorie e su un pensiero critico. Alla fine
ereditiamo tutto questo e siamo più liberi di cercare una singolarità che
contenga l’acutezza del linguaggio, le forme, gli apparati teorici e poi con
questi strumenti umani tessere la nostra pagina. Trame e ordito diranno che
poesia è.
Quella sequenza di fotografie, quel ricordare gli anniversari (“oggi è un anno
che non ci sei”) si trasforma in conoscenza del mondo intorno, tanto quanto del
mondo dentro. Quelle tracce che diremmo oggetti (ma chi è più IL soggetto?) sono
le foto e sono il ricordo e anche il ricordo stesso che la foto è anche quando
non la vediamo.
Gli
album servono a questo, tengono assieme le
ore anche se non le osserviamo, in un magma, stipate, sono tutto il tempo
assieme, i molti mondi paralleli della vita e non di una sola persona ma di
geni, carne materia, secolo, che muta in
corpi esistenze, specie, famiglie. E’ lo sgranare di ciò che il tempo è stato,
ovvero attimi e tutti assieme essi esistono in una metamorfosi che non ha più
un ordine lineare, che esiste ma continua ad esistere, solo perché esiste chi
li osserva e chi li racconta: “Dai racconti che fanno sembra che anche il tuo
tempo abbia preso forma nei luoghi in cui ho avuto i tuoi anni” è una frase che
dice quella compresenza di tempi e di
varie polarità temporali. Un tempo che siamo abituati a pensare come interiore,
soggettivo e in fondo immaginario, ma che invece è qui, è materia reale, tanto
che ancora quei luoghi (il casino dei principi, il gazebo ecc., luoghi della
Villa) sono la toponomastica di quella stessa memoria della compresenza – tra
vivi e morti, tra presenti e assenti - e
così l’interiorità si ribalta in una polverizzazione diffusa dell’Io (e del tu)
non in negazione, ma ci fa sparsi come polline nei prati, nella vaga temporalità
degli “appuntamenti” che accenni ricordando, come fossero là da venire, e sempre
in quei luoghi. Così il testo, la
scrittura nel lasciare vaga la sua forma di genere, fa, costruisce l’incontro (anche
possibile futuro), fa, costruisce uno spaziotempo dove il possibile
coincide con ciò che è stato e insieme con
una fantasmatica digitale che ci è intorno, le “foto dei profili” esposte nella
tessitura delle relazioni col mondo incorporale del web social, fatte “ a continuità
di ombre che per natura potrebbero essere simili ai tuoi scatti”.
Così scrivi, stando in un luogo (villa o mondo che sia) che diventa il
tempo. Il tempo è infatti un luogo dove tutto è e non-è, è stato e sarà, ma
questa non è più una frase suggestiva che posso dire a corredo di una poesia:
ora possiamo confidare sia in qualche modo quel che accade, il reale: sì, anche
la compresenza di morti e insieme vivi, ciò che la poesia da sempre sapeva e
sperava. Lo è nella materia che siamo e continuiamo (e continuano) ad essere.
L’album di specie.
C'è
una entomologia della memoria in questo Album così come dicevo della topografia,
una raccolta di farfalle rare e preziose ma anche comuni perché magari legate a
un momento particolare e collettivo, In Luky Star quell’appartamento,
gli anni dell’Italia del Mundial e dallo stesso “balcone” o “finestre aperte” il
punto da cui spiccare il volo dell’adolescenza, verso il concerto di Madonna, l’Italia azzurra
e più in generale la Torino, o la Storia della Resistenza.
Compare infatti quel “quarantatrè” e la tanta storia tremenda: ciò che la
tramanda è però un soffio lieve dell’ “odore del lino/il lenzuolo che piegavi
al mattino/ prima di portarsi al mare” che rievochi in a una donna che ha
fatto la Resistenza e che quell’epica trasmigra in gesti quotidiani.
E’ in questi dettagli di sinestesia che
si adagia la ragnatela della Storia. Non è solo però la memoria del passato
remoto, ma anche di anni giovani, ballando a un concerto dei REM (automatic
for the people) quel momento
vissuto come unico o addirittura ultimo, ma a rivendicare “fossero per una sera
nostri/ non vostri – tutti questi anni, la fase più a lungo intermedia/ del
sonno adolescente” prima di cedere il tempo, il momento al passato. Quando
siamo (stati) giovani, era per tutti già sempre attiva, in quell’avere
vent’anni, la nostalgia di come ricorderemo certi momenti di felicità (e
non si tollera chi dice che sia l’età più bella, recita l’adagio di Nizan,
perché ne sa già lo strazio della fine.
In dettagli privati può stare metonimia di una storia comune, che valga per
noi, e a te sta a cuore soprattutto che valga anche per tutte le donne che nei
decenni hanno fatto qualcosa di simile, dovendo a forza asciare lo stesso mare, verso
il Nord.
La giustapposizione tra biografia e
storia che traluce dai testi esplicita i rimandi per quella del lettore, nella sfida
a fare scattare analogie senza usare uno stile lirico.
Così
anche l'evento storico che segna una stagione appunto che ciò che appartiene
alla tua (io son più vecchio ahimé ) generazione è il 2 agosto 1990 l'invasione
del Kuwait e l'inizio di una storia che appunto si è riversata poi sugli anni
2000. E che per la mia generazione va a coincidere invece con quella drammatica
del 2 agosto 1980 che chiudeva col sangue un decennio e apriva con le ombre con
i misteri un altro decennio che sarebbe stato impegnato a coprire quelle
responsabilità.
Qui
sta il nostro (lo dico con empatia da figlio di novecento) cruccio oggi, una
natura che ritorna nella sua potenza a farsi amare e custodire, senza nulla
garantire (Leopardi ci avverte sempre) ma a differenza sua non la consideriamo
matrigna, la tuteliamo, anche nella sua facies desertica e funebre, di “cenere”
che conserva il vitigno, come scrivi e protegge “la pace dei morti che non sono
di qui/ e sono come gli altri”. Custoditi come un deposito di vita, come un
nucleo fetale della materia che siamo, estesa ovunque. Come Leopardi, che
attraverso Lucrezio e pur non avendo una scienza progredita e coscienza
dell’ambiente come noi oggi, nel deserto spettrale vesuviano guardava alle ginestre, che la
abitavano, vive dal caso generate, così anche per noi si vanno a sovrapporre gli album della memoria
personale e storica e quelli della biologia. Pur terminando, finendo, non c’è
mai fine, tutto si custodirà, nel “sottoterra
dove basta un filo d’acqua per ritrovare anche te, / la più piccola forma di
vita”.
Un caro saluto
Mario
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